Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Vita di un’insegnante di sostegno: la relazione tra me e te, quel ‘trattino’ che ci lega

#queltrattinotrameete #insegnante-alunno

Caro Diario, 

“Oggi è agitato”. In questo giorno uggioso vengo accolta in classe con queste parole confortanti. Neanche il tempo di varcare l’uscio: “Sara, oggi non si tiene. Ha sonno”. Entro nell’aula, poso il cappotto, la borsa e l’unica cosa che vorrei dire alla collega che mi dà il cambio e all’assistente è “Ma voi l’avete visto il cielo?”, ma sto zitta. Forse non hanno ancora fatto caso alla simbiosi tra il colore che avvolge le nuvole e l’umore di Luca. Per me è lapalissiano, ma va bene così.

Luca è in ginocchio e fa ruotare con la mano sinistra un non so cosa preso da chissà dove e con la mano destra trattiene a sé la macchinina verde. Non lo saluto per evitare di alterare quel labile e fragile equilibrio che si è creato. 

Prendo una sedia, la metto non troppo distante da lui, afferro il mio iPhone, mi collego al sito e comincio a leggere ad alta voce. Luca si volta, si trascina verso di me con le ginocchia tenendo ben stretti quegli oggetti che lo fanno sentire sicuro e appoggia la sua fronte sul mio ginocchio. 170 cm di potenza chiusi a riccio. Continuo a leggere quell’articolo dal titolo “Didattica tutto in un trattino”. Luca sembra calmo, ascolta, ma soffre. Si contiene perché uso quel timbro di voce che gli piace, quella prosodia che lo tranquillizza, quel leggere fluido che gli impegna l’udito. 

Molte sono le definizioni di didattica, ma quella che, a mio modo di vedere, meglio mette a fuoco il suo ‘oggetto’– leggo ad alta voce quanto è impresso sullo schermo – è intenderla come la scienza e l’arte della relazione tra l’insegnare e l’apprendere, all’interno di un contesto”. Luca mi guarda e sorride. “Cosa ridi? Ti piace come leggo o quello che leggo?” Abbassa lo sguardo e continua a far ruotare quel non so cosa preso da chissà dove. Proseguo la lettura e Luca continua a starmi vicino senza agitarsi

“Spesso questo rapporto viene indicato con un trattino (insegnamento apprendimento) che lega i due termini”. Luca adesso mi guarda, ha capito che non sto più leggendo per tranquillizzarlo, ma per capire il senso di quello che c’è scritto e la cosa un po’ lo infastidisce. Mi conosce troppo bene per non rendersi conto che non è più al centro dell’attenzione, perciò libera la mano destra e la usa per sollevarmi il viso prendendomi per il mento. Vuole essere guardato negli occhi. Lo fa sempre quando mi distraggo, ma io di istinto senza saperlo ho innescato la bomba.

Lancia quel non so cosa preso da chissà dove verso il soffitto e comincia a fare rumore. Si è alzato ed ha smesso di guardarmi. Saltella come sempre, gridacchia. Ora sono io a conoscerlo talmente bene da rendermi conto che ho solo una chance per evitare il peggio.

Lo prendo per il polso, lo guardo negli occhi e aspetto in silenzio. Aspetto che capisca che non lo mollerò finché non smetterà di saltare, di gridacchiare, finché non mi darà udienza. Udienza si, perché essere ascoltati da Luca in queste circostanze è memorabile come quella di un Papa. “Luca ascoltami”. Mi ignora, anzi, mi fa notare che mi sta ignorando. Vuole farmela pagare perché mi sono distratta. “Luca ascoltami un attimo”. Mi guarda e mi scoppia a ridere in faccia con tanto di sottotitolo non verbale “Ti piacerebbe che mi fermassi così puoi finire di leggere l’articolo che tanto ti piace, l’articolo per il quale hai smesso di concentrarti su di me”. È una risata grassa, da bullo. Qui mi gioco la mia carta vincente. Incrocio le braccia e faccio il broncio. “Con te non gioco più” gli dico. 

Luca si ferma, mi guarda e cerca di capire se sto scherzando o sto dicendo sul serio. Mi affascina sempre questo istante. L’istante in cui i suoi occhi si concentrano e spicca la sua capacità di capire l’ironia. È incredibile quanto in questi casi riesca a percepire il suo grado cognitivo e la sua conoscenza e comprensione della lingua. Non c’è modo di dire che non comprenda, non c’è scherzo che non intuisca, non c’è nulla che gli sfugga linguisticamente ed empaticamente. Mentre mi diverto ad osservarlo nell’istante in cui mi scruta per capire cosa penso, Luca si ferma e guarda nel vuoto. È scattato di nuovo qualcosa in lui. Si avvicina e mi tende la mano. La mano verso il prossimo è il suo modo di riconoscerlo. 

“Allora Luca, me li concedi due minuti ancora? È un favore personale che ti chiedo”. Luca si siede e comincia a far ruotare quel non so cosa preso da chissà dove con la mano sinistra e tiene stretta la macchinina nella mano destra. Mi siedo e colgo l’occasione “Potremmo anche sostituire il termine insegnamento con insegnante e il temine apprendimento con alunno. In questo caso il ‘trattino’ assume anche maggior forza, perché indica non tanto una relazione tra concetti, quanto tra persone: la didattica si occupa della relazione insegnante-alunno.”

Mi fermo, rileggo e gli chiedo: “Luca? Qui si parla di relazione, io e te ce l’abbiamo?” Ride.“Cosa ridi? Sei esperto in didattica?”. Mi tende la mano. Mi sorride. Scatta in piedi e salta. “Ecco questo è il trattino tra me e te” penso. Bene, si parte da qui. 

Sara

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