Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Vita di un’insegnante di sostegno: accettare la realtà vuol dire ‘farla facile’?

#trasferimenti #Giulio

Caro diario,

Chiara mi ha detto che sono troppo dura. Dice che tratto la disabilità con troppa naturalezza. Dice che quando parlo con Giulio la faccio facile. Io vorrei chiedere a Chiara se si è mai rotta un polso. Se si è mai storta una caviglia. Se ha chiaro cosa significa essere impotenti perché impossibilitati a fare qualcosa. Quando la realtà è un mezzo schifo io penso che l’unica cosa da fare sia accettarla, rimboccarsi le maniche e affrontarla con naturalezza. Si, naturalezza. La storia è questa.

Mi dà una spallata mentre rossa di rabbia percorre il corridoio velocemente. Vicino la colonna e davanti al distributore del caffè c’è Giulio che ride. Faccia da sbruffone guarda a terra. “Buongiorno, c’è qualche problema?” – “Prof. che fa sfotte?” mi risponde, guardando la sedia a rotelle su cui è seduto. “Ho visto Asia andarsene leggermente irritata” gli dico, “Asia è sempre irritata” sottolinea.

Giulio è un ex promessa della pallavolo costretto a vivere a gambe piegate dopo essersi rotto tre vertebre cadendo dal motorino. Andava piano. È solo scivolato sul brecciolino e ha sbattuto la schiena sul marciapiede. È leggermente fuori di sé col mondo, ma da bravo sportivo tiene duro, ma da bravo adolescente spesso non ci riesce.

“In sostanza che cosa è successo?” – “Prof. si è fissata. Ha preso la patente e adesso si è fissata”. Aspetto che finisca il concetto perché i pezzi sono insufficienti per costruire l’intero puzzle. “Non sei contento che abbia preso la patente?” Alza le braccia fin dove può ed esplode: “Certo che sono contento, ma si è fissata che deve portarmi in giro”. È più arrabbiato del 6 giugno del 2015 quando la sua classe ha perso il torneo di pallavolo alla finale.

Colpisco il tallone d’Achille. “Ti ha chiesto di uscire. Dovresti essere contento. È anche bella”. Pronuncia un francesismo a pieni polmoni preceduto da una bella congiunzione avversativa, ma io non mi sconvolgo perché Giulio provoca tutte le volte che deve distogliere l’attenzione da ciò che non vuole fare o pensare. “Ho capito piace anche a te, ma hai paura” lo incalzo per fargli uscire il rospo. “Prof?! Perché lei fa così tanto la …” lo stoppo: “finisci la frase e ti faccio sospendere”. Ride, mentre lo invito ad andare in classe.

Quando l’ho conosciuto afferravo i manubri della sedia a rotelle e lo aiutavo. Con il tempo mi sono resa conto che lo trovava avvilente, soprattutto quando lo spingevo in corridoio in mezzo agli altri, perciò adesso lascio che si spinga da solo premendo sulle ruote il muscolo palmare breve. Spostarsi dall’entrata alla classe certe volte dura un’infinità, ma diventa sempre un’occasione di confronto.

“Io non ho capito perché le hai detto di no”. Giulio è arrogante, ma di me si fida. “Lei lo sa un tetraplegico che deve fare per entrare ed uscire da una macchina?”. Accenno con la testa un semplice no pur sapendolo. “Funziona cosi: si poggia una tavoletta di legno sulla sedia e contemporaneamente sul sedile dell’auto poi qualcuno ti solleva, ti mette sulla tavoletta e tu ti trascini fino al sedile. Se ti dice bene sul sedile ci arrivi vestito, se ti dice male ti si spostano i pantaloni e chi ti ha caricato sulla tavola deve risistemarteli. Ora si faccia due conti”. Bersaglio centrato. “Quando esci da scuola non c’è Alessio?” ribatto, facendogli capire che l’A.E.C. all’uscita è con lui. “Il trasferimento te lo fai fare da lui e quando arrivi a casa il trasferimento lo fai fare a tuo padre”. Uno a uno palla al centro. “Ma lei prof non molla mai?” Questa volta a ridere sono io. “È problem solving mio caro e tu mi sembri piuttosto scarso in merito. Dopo parlale, se puoi, Asia c’è rimasta male. Ora entra in classe che se continuiamo questa conversazione mi trovo costretta a rivalutare le tue competenze”.

Chiara ha sicuramente ragione, io la faccio facile, ma questa è la realtà. Giulio vive seduto. Ma vive.

Sara

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