Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Vita di un’insegnante di sostegno: quegli anni difficili ma efficaci

#esami #incarichinonfacili

Caro Diario,

Sono le 15.30 di un mercoledì di giugno e fuori c’è il sole. Sono stanca, ma felice.

Quando gli increduli ti danno una pacca sulla spalla hai la prova certa di aver fatto un buon lavoro e ora che Stefania ha concluso gli esami posso finalmente dirlo: non sono stati anni facili. L’odore aspro della sua saliva l’ho portato spesso a casa e l’ho sentito addosso, sulle mani soprattutto, anche nei lunghi periodi di vacanza. Ognuno ha i propri limiti quando interagisce con la disabilità: io ho avuto questo. L’ho sempre tenuto per me, quasi come un segreto, ma a volte è capitato che si sia resa conto che i fogli, i quaderni, le matite e i pennarelli impregnati erano per me difficili da prendere. Mi rammarico di questo, ma siamo umani anche noi.

Quando l’ho conosciuta Stefania passava le sue giornate scolastiche seduta al banco senza interagire: accennava qualche segno/gesto e rideva quando ridevano gli altri. Attirava l’attenzione durante l’intervallo facendo inchini e giravolte.

Un giorno un compagno fu ripreso dalla professoressa e lei, che non parla perché ha le corde vocali paralizzate da un’emiparesi che le ha compromesso anche la capacità di deglutire, portò la sua mano destra verso il naso e la tirò in avanti. A me venne spontaneo tradurre ad alta voce: “Pinocchio” e questo fece ridere l’intera classe. Il compagno aveva detto una bugia e lei l’aveva sottolineato. Ricordo che sorrise anche lui. Quel giorno capii che Stefania era tutta da scoprire ed è dalla sua ironia che siamo partite nel tracciare un percorso in cui, inizialmente, ho creduto solo io.

“Sei troppo severa” mi hanno spesso rimproverato le mie colleghe. “Non è che stai pretendendo troppo?” Si, sono stata severa e a volte, forse, ho preteso anche troppo, ma ho preteso tanto anche da me stessa perché Stefania quando si sforza – e te lo giuro che per lei anche solo scrivere il suo nome è uno sforzo immenso – non riesce a controllare la salivazione che le risulta complicato gestire – giustamente – anche nei momenti di riposo. Le mani appiccicose e l’odore a volte aspro era il prezzo che dovevo pagare per vederla crescere e migliorare. L’ho capito subito e subito l’ho accettato con non poche difficoltà, ma non vendo scarpe, non dirigo un’azienda, sono un’insegnante di sostegno e in quanto tale non potevo tirarmi indietro, o sì? Mi sarei potuta rifiutare? Avrei potuto chiedere un altro incarico? Sarebbe stato deontologicamente corretto?

Oggi non voglio neanche pensarci. Vederla da lontano salire le scale, prendere la penna, aspettare la consegna del foglio e svolgere le prove completamente da sola ha fatto un certo effetto. Vederla concentrata ad usare l’indice per girare le slides e muovere quelle mani che a stento riescono ad impugnare la penna per raccontare a tutti il suo percorso d’esame è stata una gioia immensa. Oggi non so dirti chi delle due abbia insegnato di più all’altra, io so che abbiamo lavorato entrambe come due guerriere. Supportate dalla neuropsichiatra e dalla famiglia non ci siamo risparmiate su nulla. Oggi dopo l’orale le sue compagne l’hanno presa per mano e l’hanno accompagnata dai suoi genitori, lei non si è voltata, è andata dritta insieme ai suoi pari. Mentre la vedevo allontanarsi ho sorriso: non sono stati anni facili, ma sono stati anni efficaci e questo è ciò che conta. 

Sara

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