Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Vita di un’insegnante di sostegno: quando mi sento invisibile

#scuolainclusiva #trasognoerealtà

Caro diario,

l’altra sera una collega si è rivolta ad un’altra collega e le ha detto, guardandomi: “Come si chiama? Mi sfugge il nome… come si chiama?” ci mancava che schioccasse le dita mentre lo diceva. Io ho sorriso e ho pensato a quell’immagine di cerchi e palline colorate su sfondo bianco che usano ai corsi di aggiornamento per spiegarti i concetti di esclusione, inserimento, segregazione, integrazione e inclusione. L’ultima che ho visto aveva le palline verdi, gialle, prugna e azzurre. Bene. Certe mattine io non mi sento né verde, né gialla, né prugna, né azzurra, mi sento una pallina bianca, come il fondale. Invisibile. Il fatto che la collega a maggio stenti a ricordare il mio nome ne è la dimostrazione. Sono angosciata perché sostengo che la considerazione dell’insegnate di sostegno sia direttamente proporzionale alla considerazione dell’alunno con disabilità in classe. 

La collega non si ricorda il mio nome perché nelle sue ore, noi non ci sono mai e mai lei si è posta il problema. Lei dalla sua cattedra deve elargire il suo sapere e Leo chiacchiera e canta come il pesciolino Dory, senza filtri, senza sosta. “Scusa non è che puoi fare in modo che abbassi la voce che sto spiegando?” Così mi ha detto un paio di volte, invitandomi ad uscire con Leo che aveva perfettamente capito che la sua professoressa non si era rivolta direttamente a lui, ma aveva chiesto a me, in sua presenza, di farlo stare zitto. Davanti ad uno scenario del genere mi sono trovata costretta il 90% delle volte a fare lezione in quello che ipocritamente chiamiamo “laboratorio”.

Se oggi dovessero chiedermi: “La scuola italiana è inclusiva?” sparerei, come risposta, un secco “No”.

Se dovessero chiedermi: “La tua scuola è inclusiva?” direi “Dipende” e partirei come un fiume in piena ad argomentare. “Dipende dai colleghi, dai metodi didattici, dagli approcci pedagogici, dal contesto classe, dalla resistenza al nuovo, dalla conoscenza della normativa, dall’applicazione della legge” e come un urgano d’acqua proseguirei fino a sbattere contro la scogliera dura. Si perché la pedagogia, la didattica, la normativa e chi sogna la scuola del futuro sono tutti dalla nostra parte. L’unica ad opporsi è la realtà scolastica. Quella purtroppo è dura come i sassi e per scalfirla ci vorrà ancora tanto tempo e… Pazienza. 

Sara

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