Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Vita di un’insegnante di sostegno: quando vorrei che tutto andasse bene, ma so già che non sarà così

#tonibassi #liberoinsegnamento

Caro Diario,

Luca non si tiene e io non ce la faccio. È troppo alto, troppo forte, troppo ferito. Troppo tutto. Certe volte vorrei venire a scuola con la certezza che andrà tutto bene, che tutto scorrerà liscio, che sarà una giornata buona, ma non è così. Tutto dipende dall’umore di Luca, dalla condotta dei compagni di classe, dall’attività scelta dalle colleghe. Il 100% delle volte quella certezza è minata da mille fattori che io devo accettare e controllare senza riserve. È un massacro. In questo gioco delle parti, la mia non è presa in considerazione.

Nell’aula si è rotto un termosifone, perde acqua ed è stato avvisato il comune, in mattinata o nel pomeriggio verranno a ripararlo, ma Luca quel piccolo secchiello che raccoglie l’acqua della perdita non lo sopporta. Si avventa su di lui come fosse un mostro che gli oscura la vista. Strattona così forte il termosifone che lo stucco del muro comincia a cedere. Temo il peggio. Sta per avere una crisi. Fuori piove e dentro pure. L’apocalisse si avvicina. È il momento dell’intervallo e i compagni sono in corridoio al distributore, ma lui è li che non sopporta la quella goccia, il secchiello e il termosifone in quello stato. Pensavo di avere almeno una frazione per pensare, invece no, Luca è scappato in corridoio. I compagni non lo gestiscono è partito con quel prendi e butta tutto per terra che è una meraviglia. Le colleghe entrano immediatamente nel panico, mi chiamano come se avesse un’ascia in mano. È chiaro che in quell’aula non può tornare. “Tranquille lo porto in aula professori” ed è terrore. “Ma stai scherzando? C’è il distributore con il vetro”. Luca è in ginocchio per terra e con il braccio spinge chiunque gli si avvicini. “Fidatevi di me, non succederà nulla”, ma Luca non è dalla mia parte in questo momento, è in ginocchio per terra e con la mano destra colpisce tutte le scarpe dei compagni e dei docenti che gli passano accanto e urla.

“Non può entrare lì, è troppo pericoloso”. Il tempo passa mentre io cerco di convincerle che il concetto di pericoloso è decisamente assurdo e relativo e che sono disposta a correre il rischio. Quel secchiello e quella goccia l’hanno mandato in tilt e l’unico modo è distoglierlo dal ricordo di quell’immagine che gli ha spezzato gli schemi. Non se ne vanno, continuano a dirmi che sono una mezza pazza, come se io avessi il coraggio di dire loro durante le “loro” lezioni che si approcciano in maniera inadeguata agli studenti. Lasciatemi fare, il libero insegnamento vale anche per me. Le mollo. Mi avvicino e mi avvicino a Luca. Gli parlo nell’orecchio a bassa voce come si fa ai bambini quando piangono. Luca si ferma, sta attento. Gli sussurro di alzarsi, di darmi la mano, di seguirmi. Spingo sul diaframma cercando il timbro di voce che di solito lo tranquillizza. I toni bassi gli danno stabilità. Lo guardo negli occhi, gli sorrido. Ha già cambiato espressione. Si fida, si alza, mi segue. Respira. Si siede. Si calma. Finalmente. Fuori c’è il sole e finalmente adesso… Anche qui.

Sara

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