Riemerge il regionalismo differenziato

È come un fenomeno carsico, si protrae tra alti e bassi da quasi un ventennio: ora sembra aver subito un’improvvisa accelerazione il progetto di intesa tra Stato e alcune Regioni finalizzato alla ricomposizione delle funzioni inerenti all’istruzione e all’istruzione e formazione professionale in un quadro nel quale i poteri e gli strumenti che spettano a ciascuno dei soggetti si coordinerebbero per realizzare il fine comune del governo del sistema formativo.

Ricomporre le funzioni significa non preoccuparsi tanto della divisione “compartimentale” delle competenze tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti, quanto della capacità del sistema di cooperare per realizzare il comune obiettivo, attraverso il coordinamento di azioni e percorsi e il perseguimento del successo di ciascuno di essi.

Un rapporto, quello tra governo nazionale e regionale, da sempre conflittuale che non ha avuto pace nemmeno con la riforma del titolo V della Costituzione. I testi sono noti, ma per capire meglio l’evoluzione e ciò di cui ancora oggi stiamo discutendo è importante cogliere il clima politico e amministrativo che ha caratterizzato la fine del secolo scorso, terminata con la predetta revisione costituzionale. Era stata approvata da una maggioranza di centro sinistra e suffragata da un referendum popolare, ma la pressione di una destra che oscillava tra la secessione della “Padania” e la privatizzazione di numerose funzioni dello Stato avevano impegnato la politica e preoccupato la pubblica amministrazione e i sindacati.

Tra le materie soggette a rivisitazione nelle attribuzioni istituzionali c’era l’istruzione, che conservava allo Stato le norme generali ed i livelli essenziali delle prestazioni e devolveva a competenze concorrenti con le regioni tutto quanto riguardava la governance del sistema scolastico e la formazione professionale che, come in passato, rimaneva a queste ultime. Un cambiamento piuttosto significativo, che intendeva riorganizzare i poteri legislativi e gestionali, ma che rimase pressoché lettera morta, per evitare le suaccennate derive, facendo rinunciare lo stesso centrosinistra a gran parte della sua cultura politica centrata sui governi locali, dimostrata da numerosi provvedimenti sulla revisione degli enti territoriali ed il decentramento statale.

Ma il centralismo ebbe ancora la meglio nonostante il lavoro svolto dal tavolo tecnico politico sull’istruzione che, sulla base anche di una condivisione di massima del Ministero della Pubblica Istruzione delle linee di fondo di definizione della materia, elaborò una proposta organica d’intesa tra lo Stato e le Regioni concernente l’attuazione del Titolo V per il settore istruzione, licenziata l’8 aprile 2008 dalla IX Commissione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni ed approvata dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni il 9 ottobre 2008.

Sulla proposta delle Regioni di attuazione del Master Plan per l’attuazione del Titolo V, trasmessa dal Presidente Errani a novembre 2008 ai Ministri Gelmini e Fitto non fu poi oggetto, per le resistenze in particolare del potere centrale amministrativo del Miur, del confronto politico finale  in sede di Conferenza Unificata.