Vaccini: quella inquietante disputa tra diritti fondamentali
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“Tutto è bene quel che finisce bene”, recita la nota commedia di Shakespeare, la cui battuta finale è “passato l’amaro, più benvenuto è il dolce”. Così si potrebbe dire dell’esito della inquietante disputa sui vaccini che ha visto contrapporsi due ministri del governo Gentiloni, fattisi portabandiera di due diritti costituzionalmente protetti, quello alla salute (ministro Lorenzin) e quello all’istruzione (ministro Fedeli).
La decisione presa dal Consiglio dei ministri venerdì scorso è apparsa, alla fine, equidistante, perché se è vero che l’obbligo di vaccinazione è stato limitato alla fascia 0-6 anni, come proposto da Fedeli (Lorenzin avrebbe voluto estendere l’obbligo fino ai 10 anni, come auspicato anche da molti dirigenti scolastici), è anche vero che l’obbligo è stato ribadito in termini non equivoci, che il numero delle vaccinazioni obbligatorie è stato aumentato da quattro a dodici, e che gli sconsiderati genitori che decidessero di non far vaccinare i loro figli di 6-10 anni andrebbero incontro a un mare di guai, tanto fa far ritenere tale eventualità del tutto improbabile: segnalazione del caso all’ASL, multe salatissime da 500 fino a 7.500 euro, e perfino perdita della patria potestà.
Resta il fatto che, come sostenuto da molti costituzionalisti anche di diverso orientamento politico-culturale (da Alessandro Pace a Sabino Cassese), il diritto alla salute dovrebbe essere considerato prevalente rispetto a quello all’istruzione, dato che la Costituzione (articolo 32) stabilisce che la salute non è solo “un fondamentale diritto dell’individuo” ma anche “interesse della collettività”, che quindi mediante l’obbligo di vaccinazione tutela se stessa, senza ammettere eccezioni.
Si può dire lo stesso dell’istruzione?
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