Risultati Invalsi/2. La scuola come costo e come investimento

La verità è che è mancata in tutti questi anni una reale convergenza della classe dirigente del nostro Paese (politici, imprenditori, sindacalisti) su una strategia che considerasse quello per la scuola non un costo ma un investimento. Altri Paesi l’hanno fatto pur partendo come il nostro da difficili condizioni economiche e sociali (due esempi: la Corea del Sud e la Finlandia), e i risultati si sono visti in termini sia di qualità sia di equità. In quei Paesi non solo si è speso molto (rispetto ai rispettivi PIL) ma si è speso bene, nel senso che si è puntato sulla qualità degli insegnanti, selezionati tra i migliori laureati e ben retribuiti, e si sono fatte riforme semplici (decentrate e autocorrettive come in Finlandia, meritocratiche ma senza escludere nessuno studente come in Corea).

Da noi invece la spesa per l’istruzione è rimasta per decenni sotto la media Ocse; la formazione dei docenti (iniziale e in servizio) è rimasta poco professionale ed è tuttora in discussione (un po’ meglio si è fatto per la scuola primaria e dell’infanzia, e i risultati si sono visti e si vedono anche oggi nelle comparazioni internazionali); i tentativi di istituire una carriera per gli insegnanti – intesa come un percorso di sviluppo e valorizzazione volto a premiare l’impegno e la professionalità creando le premesse per tenere alta la motivazione durante l’intero arco di vita professionale – si sono infranti contro l’alleanza immobilistica tra sindacati, burocrazia ministeriale e politici a caccia di sanatorie per lucrare consenso; le politiche volte sulla carta a migliorare la qualità e l’equità della scuola del Mezzogiorno (FSE, FESR, PON) – realizzate con modalità discutibili che hanno alimentato il “Progettificio Scuola” – si sono risolte in clamorosi fallimenti documentati, oltre che dalle prove Invalsi (ad es. in sei Regioni del Mezzogiorno l’esito medio degli apprendimenti in Matematica alle superiori si ferma al livello 2, quindi al di sotto della soglia attesa) e dalle comparazioni internazionali (IEA, PISA), dalla letteratura sociologica e psico-pedagogica che se ne è occupata negli ultimi 50 anni.

E’ mancata, in poche parole, una visione lungimirante di politica scolastica. Si tratta di tematiche delle quali Tuttoscuola si è interessata a lungo, come i nostri lettori sanno, producendo anche dossier e ricerche come La scuola colabrodo e altre che hanno avuto anche risonanza nazionale sulla stampa, senza che però alla momentanea attenzione dei media e di qualche isolato politico abbia mai fatto seguito alcuna azione organica da parte dei governi e ministri pro tempore.

Non vorremmo – ma lo temiamo fortemente – che anche le tante e ben finanziate opportunità offerte dal PNRR scuola si risolvessero in nuvole di parole e nei pulviscoli progettuali di cui si è avuto un assaggio con la recente vicenda dei 500 milioni distribuiti in parte a pioggia (come da tradizione PON) e in parte con criteri (fondati, ha detto il ministro Bianchi, anche sui dati Invalsi, oltre che sui criteri “indicati nel documento del gruppo di lavoro di esperti che abbiamo istituito al Ministero”, i quali però non sembrano essere molto d’accordo) che hanno finito per discriminare in molti casi proprio le scuole più a rischio.

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