Idee per il Recovery Fund: un periodo sabbatico per la formazione dei docenti

Il riavvio dell’attività scolastica e in particolare delle lezioni sarà accompagnato dall’assunzione di decine di migliaia di nuovi docenti, specialmente nel primo ciclo ove è previsto che l’insegnamento si svolga in presenza. Nasce una domanda spontanea: il mercato del lavoro offre un tal numero di docenti che sia adeguatamente preparato per svolgere – in un momento peraltro così delicato – un servizio che sia rispondente alle esigenze di apprendimento degli alunni?

E’ noto che molte graduatorie sono esaurite o potrebbero essere costituite da un numero insufficiente di aspiranti. Il che comporta un’accentuazione della problematica della preparazione e della formazione dei docenti, non facilmente risolvibile in tempi brevi.

Questo scenario rende concreto il rischio di assunzione di persone con esperienza limitata e dunque bisognose di essere accompagnate nel loro percorso di insegnamento.

E se si pensasse a un periodo sabbatico per la loro formazione funzionale all’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze connesse all’insegnamento soprattutto in un contesto digitale, da svolgersi presso strutture universitarie e di ricerca o comunque attraverso percorsi guidati da enti di formazione riconosciuti?

Sarebbe auspicabile che il periodo sabbatico, non più su base volontaria ma riconosciuto agli effetti della carriera e del trattamento economico, avesse una durata circoscritta (ad esempio di tre mesi). E che fosse fruibile a rotazione tra i docenti a partire dai più giovani. Le attività da svolgere dovrebbero essere coerenti con le linee guida per la didattica digitale integrata.

Poiché non appare fattibile un coinvolgimento contemporaneo di tutto il corpo docente, andrebbe utilizzata la formula della rotazione riconoscendo ad un numero contenuto di docenti di fruire del periodo sabbatico, determinato per classe di età e a partire dai neoassunti per i quali il decreto attuativo della legge 107/2015 già prevede il percorso FIT. Un periodo di tempo limitato a due/tre mesi non confliggerebbe con le esigenze di continuità didattica ed educativa. Si potrebbero coinvolgere in quest’anno di emergenza Covid i “lavoratori fragili” accertati.

Non mancano ovviamente gli ostacoli da superare per rendere fattibile la proposta. La maggiore criticità è rappresentata dai costi a carico del bilancio dello Stato, dalla capacità del sistema universitario di collaborare in orizzontale con la scuola, dall’assenza di riferimenti legislativi. L’art. 26, comma 14, della legge 448/98 infatti prevede la possibilità di chiedere un periodo di aspettativa ma senza oneri a carico dello Stato.

Per superare i vincoli di natura finanziaria, particolarmente elevati, potrebbe venire in soccorso il Recovery Fund. Come noto, entro metà ottobre il Governo dovrà presentare un programma di riforme e investimenti, indispensabili per poter usufruire dei 209 miliardi (82 in sussidi e 127 sotto forma di prestiti, che dunque andranno restituiti) annunciati nel contesto del Recovery Fund. Si può sperare che la scuola non venga dimenticata e, in tale ambito, vengano privilegiati la formazione dei docenti e l’edilizia scolastica. Del resto è dello stesso parere anche la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina che ha sottolineato a più riprese l’opportunità di utilizzare proprio per le necessità scolastiche una parte di fondi del Recovery Fund, in particolare per affrontare seriamente anche il problema relativo alla formazione e selezione del corpo insegnante.

E un periodo sabbatico potrebbe essere la condizione per riaccendere la fiducia della classe docente, che deve essere protagonista del cambiamento. La qualità della scuola passa dalla preparazione e dalla professionalità degli insegnanti.