DaD: le scuole (anche del primo ciclo) devono definire le modalità di realizzazione
Alla fine (28 agosto) il governo, forse obtorto collo, ha dovuto rassegnarsi a riconoscere che “l’attivazione della didattica a distanza nel corso dell’anno scolastico 2019-2020 è stata una delle modalità di realizzazione del distanziamento sociale, rivelatosi intervento di sanità pubblica cardine per il contenimento della diffusione dell’infezione dal SARS-CoV-2” e che “a fronte di ciò è opportuno, nel rispetto dell’autonomia scolastica, che ciascuna scuola ne definisca le modalità di realizzazione, per classi e per plesso, qualora si dovessero verificare cluster che ne imponga la riattivazione”.
La Conferenza unificata delle Regioni e delle Province autonome ha infatti espresso parere favorevole alle indicazioni operative messe a punto dal gruppo di lavoro ISS, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Emilia-Romagna, Regione Veneto, solo dopo che il governo ha accettato di aggiungere, su richiesta delle Regioni e Province, formulata il 27 agosto, le frasi sopra riportate in corsivo alle raccomandazioni contenute nel testo delle indicazioni operative.
La rilegittimazione della DaD (o DDI, Didattica Digitale Integrata) è giunta all’ultimo momento, alla vigilia della riapertura delle scuole, probabilmente perché sia il governo centrale, sia le amministrazioni regionali, percepiscono il rischio che la risalita della curva epidemica possa indurre molte famiglie e molti insegnanti a non rispettare le scadenze previste per l’avvio della didattica in presenza.
Così la DaD è stata ripescata all’ultimo, ancora una volta come soluzione di emergenza “qualora si dovessero verificare cluster”. Continuiamo a pensare che sarebbe stato meglio mettere le scuole in condizione di organizzare la DaD e le altre soluzioni non in presenza o miste (classi virtuali, lezioni con webcam con possibilità di seguirle in diretta e in registrata, flipped classroom, alternanza presenza/distanza ecc.) già nel mese di aprile 2020, come da noi ipotizzato e proposto. Purtroppo un po’ per nostalgie passatiste (citiamo uno per tutti, Asor Rosa), un po’ per una forma di resistenza auto-conservativa alla profonda trasformazione della professionalità docente indotta dalla transizione verso la scuola digitale (sindacati con diverse sfumature, apparato burocratico), non si è puntato su quella parte di insegnanti e dirigenti scolastici che durante il lockdown ha dimostrato sul campo di essere già disponibile al cambiamento (ne parliamo nella notizia successiva). Ci si è concentrati sull’inadeguato servizio a distanza offerto da molte scuole, che ha suscitato l’insoddisfazione delle famiglie, dimenticando che nei non pochi casi in cui le scuole sono state in grado di offrire un servizio all’altezza nessuno si è lamentato, anzi.
In questi mesi si sarebbe dovuto lavorare per una didattica a distanza di qualità – agendo su formazione, infrastrutture e dispositivi per tutti. Si è preferito invece spingere sulla demonizzazione di queste modalità, che certo – come tutte le cose – se male utilizzate possono fare danni, se non messe a disposizione di tutti possono creare disparità; ma se ben sfruttate per le loro potenzialità possono costituire una valida risorsa per fronteggiare il crollo del tempo scuola in presenza e anche in generale per innovare la didattica e migliorare gli apprendimenti.
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