PNRR, fondi ed idee. Il tempo scuola
L’orario scolastico ha caratterizzato la scuola-istituzione dalla sua nascita fino ai giorni nostri, e anche se nel divenire sono cambiate le ragioni della sua organizzazione, i vincoli temporali restano fissati a giustificare da un lato, assieme al numero delle classi, l’investimento per il bilancio dello stato, e dall’altro la distribuzione del numero dei docenti in relazione al loro stato giuridico. Una didattica di tipo trasmissivo aveva bisogno dell’alternanza delle materie di studio per evitare un eccessivo appesantimento dell’impegno, mentre un curricolo personalizzato richiedeva una maggiore flessibilità per consentire agli studenti di esprimere le loro diverse potenzialità e costruire un ambiente sociale più ricco e motivante. A fronte di una scuola selettiva tutto veniva incentrato sul singolo che apprende, un po’ in aula e nel lavoro domestico, mentre in una scuola inclusiva il tempo iniziò a scandire momenti di recupero attraverso un dopo scuola collettivo che voleva evitare che qualcuno rimanesse indietro o addirittura abbandonasse, soprattutto nel periodo dell’obbligo scolastico. L’introduzione della scuola a tempo pieno o della piena educazione non voleva solo potenziare lo studio sussidiario, ma rilanciando il tema della individualizzazione voleva creare più spazio per consentire una maggiore e più libera creatività degli individui cercando di favorire modalità di espressione delle diverse componenti della personalità. A ciò si accompagnava il soddisfacimento delle esigenze di conciliazione con i tempi soprattutto di lavoro delle famiglie.
Una tale impostazione ebbe successo nella scuola primaria, in quanto al tempo era abbinata la flessibilità curricolare ed anche la diffusione della mensa scolastica quale momento educativo di comunicazione e di apprendimento non formale, mentre già nella scuola secondaria di primo grado le richieste sono molto diminuite e talvolta presenti solo in ambienti privi di altri stimoli educativi, in quanto il curricolo formale aumentava le ore delle materie scolastiche che di fatto venivano gestite in senso consegnativo e poco motivante, rischiando di formare classi inclusive ma con scarsa equità. Questo per la rigidità dell’organico di quelle contrapposte alle altre classi, che ben presto indusse la fuga sia delle famiglie che dei docenti.
Nel secondo ciclo il tempo scuola fu sostanzialmente giocato sul rapporto tra formazione generale e professionale, quest’ultima per molto tempo ha avuto orari prolungati per l’esercizio di attività direttamente connesse con il mondo del lavoro, mentre nei licei anche la didattica laboratoriale ebbe scarso riscontro e le attività riconducibili ai così detti PCTO sono perlopiù aggiuntive e non interessano innovazioni curricolari. Il tentativo di arrivare ad un organico di istituto portatore di collegamenti tra le discipline e di progettualità che possano aprire le scuole stesse alle esigenze del territorio ed alle sue offerte, per porre studenti adolescenti di fronte a percorsi scolastici di realtà e quindi più capaci di maturazione, non prende corpo e anche là dove diventa indispensabile un rapporto più diretto tra discipline scolastiche e realtà sociale e produttiva, si preferisce stipulare a livello ministeriale lunghi elenchi di materie avvolti nelle classi di concorso alle quali assegnare i singoli docenti, piuttosto che lasciare alla loro iniziativa, con modalità anch’esse flessibili di assunzione, l’organizzazione di un impianto curricolare integrato tra diverse fonti di competenza culturale e professionale.
Il tempo scuola fa di nuovo capolino nel decreto sull’autonomia didattica e organizzativa degli istituti, abbinato alla gestione dei gruppi ed al calendario scolastico, ma alla fine viene contingentato, riesce difficilmente ad uscire dalla logica delle classi, ed ha a disposizione solo qualche giorno per mettersi in relazione con le esigenze del territorio, a prescindere dai contesti in cui operano. L’autonomia è tenuta al guinzaglio dall’amministrazione scolastica, che ne ha sempre temuto un uso sconsiderato da parte delle scuole, al punto che non si è riusciti a completare il decentramento delle competenze statali ed applicare la riforma del titolo quinto della Costituzione.
Ma qualcosa sta cambiando, non tanto sul versante di chi la riteneva una conquista sul piano politico e culturale, ma su quello di chi la ritiene una necessità per evitare un avvitamento di carattere depressivo che coinvolge sia i giovani e le loro famiglie, sia gli operatori. Oggi non c’è solo il problema delle competenze deglistudenti che mancano, ma il disagio giovanile che si fa sempre più accentuato richiede interventi sempre più vicini alle realtà fragili ed anche il tempo scuola diventa una variabile importante da inserire in un’autonomia consolidata, come indicato nella Costituzione recentemente modificata. Non c’è più grave ingiustizia che fare parti uguali tra diversi, ricordava don Milani, e quindi pure se si vuole salvaguardare una certa competitività al nostro sistema, occorre intervenire in modo massiccio sulle difficoltà, non solo dal punto di vista economico, magari distribuendo in modo equilibrato le risorse del PNRR, ma da quello gestionale, recuperando la qualità dell’autonomia didattica attraverso una reale autonomia organizzativa.
Migliorare le situazioni più critiche è infatti il modo migliore per spingere verso l’eccellenza. Le vere difficoltà dipendono dalla situazione socio-culturale della famiglia e dell’ambiente in cui i ragazzi vivono, oltre che in questa particolare contingenza che manifesta ancora i postumi della pandemia.
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Chi è l’autore
Gian Carlo Sacchi
Autore di Tuttoscuola ed esperto di politiche formative.
Di più all’interno dell’ultimo numero di Tuttoscuola
Nidi e scuole dell’Infanzia, ristrutturazione delle scuole, mensa e tempo pieno. E poi ancora: costruzione di nuove scuole, nuovi linguaggi, didattica digitale e divario Nord-Sud. Per ognuno di questi capitoli abbiamo visto lo stato di avanzamento della spesa e provato a capire a che punto siamo. Ma nell’ultimo numero di Tuttoscuola andiamo anche oltre il PNRR. Per esempio parliamo di tempo scuola, autonomia e LEP e delle sfide dell’istruzione correlate alla migrazione. L’ex ministra dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, prova invece a capire quale futuro si prospetta per l’AFAM, mentre Andrea Gavosto prova a capire quanto sarà utile nella scuola l’intelligenza artificiale. Presente il nostro consueto inserto dedicato alla didattica, con articoli di Claudio Girelli, Franca Da Re, Moira Stefini, Carlo Macale, Alessio Moro e tanti altri. Per la rubrica “Gestire la scuola”, Stefano Stefanel parla invece di scuole e di progettazione senza paracadute, mentre Monia Meraviglia, nell’angolo del DSGA, parla invece di nuove incombenze per gli uffici. Un numero da non perdere!
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