Caro Diario,
“vai avanti tu che mi vien da ridere” è quello che ho pensato mentre entravo a scuola il primo giorno. Io lo sapevo, ma non avevo detto nulla ai colleghi sparsi nel paese. Il giorno prima, avrei voluto organizzare un picchetto clandestino perché quando conosci il numero di casi favorevoli e il numero di casi possibili sei in grado anche di calcolarti la probabilità che l’evento si verifichi e io sapevo bene che avrei potuto ripagarmi i libri acquistati per la formazione e l’aggiornamento degli ultimi due anni. La maledetta deontologia professionale e la crisi generale economica, però, mi hanno fatto desistere, perciò ho pensato che mi sarei ripagata con ironia e sorrisi.
Hai presente la famosissima sedia accanto alla cattedra? Quella che il docente di disciplina generalmente usa per posare la sua borsa? Ecco, quella sedia che prima era un optional (nessuno ci ha mai pensato che poteva essere nostra), oggi, al tempo del Coronavirus c’è o è stata tolta? E qualora ci fosse, dov’è posizionata? Accanto alla cattedra o a un metro di distanza da essa? Invece di sottoporre ai membri della comunità scolastica gli infiniti questionari di Booth e Ainscow per valutare l’inclusività di un’istituzione scolastica, perché non chiedere loro se c’è una sedia in più e dov’è posizionata nell’aula? Sì, lo so, sto facendo polemica. Se dicessi una cosa del genere a Federica – te la ricordi? La collega saggia, sempre calma, che prova a quietare il mio modo ribelle di affrontare le situazioni di mancato riconoscimento della nostra figura professionale e dei “nostri” alunni? – mi fulminerebbe con lo sguardo, tuttavia, lei qui non c’è e su questo foglio posso sentirmi libera di dire quello che penso, senza filtri. Perciò la sedia c’è? Se c’è, dov’è? Vai con la casistica e con il tango.
Peeeeeeee. Allarme rosso, allarme rosso. Se la sedia non c’è, è un brutto segno perché in tal caso dove lo/la collochiamo l’insegnante di sostegno? In piedi? Fuori? (santamiseria, si accartoccia lo stomaco al solo pensiero) e questo fuori è sinonimo di “fuori con il suo alunno”? (Madre Terra, Rabbia e Disgusto stanno sgomitando per far fuori Gioia, Paura e Tristezza dalle postazioni della tastiera emozionale). L’assenza della sedia, quindi, è sinonimo di una scuola che tra le sue proprietà non ha sicuramente l’inclusione. La presenza della sedia non è il riconoscimento della figura dell’insegnante di sostegno, ma il grado di attenzione che la scuola ha nei confronti di tutti gli alunni e di conseguenza di tutte le figure professionali che si prendono cura di loro.
Peeeeeee. Allarme rosso, allarme rosso. Se la sedia è vicino alla cattedra, è un brutto segno: perché?! Se dobbiamo rispettare il distanziamento sociale quella sedia non è per il docente di sostegno, ma per le borse del docente di disciplina. In tal caso, quindi, dove lo collochiamo l’insegnante di sostegno? In piedi? Fuori? Mentre rifletti, vado alla macchinetta del caffè, che tanto è lì che si trova l’insegnante di sostegno nell’immaginario collettivo di una scuola come questa.
Arriccio il naso, aggrotto il sopracciglio sinistro, ma mi accontento perché in questo scenario la scuola ha previsto la presenza in classe dell’alunno certificato e quella dell’insegnante di sostegno. Li ha messi vicini, alludendo che l’insegnante di sostegno sia l’insegnante dell’alunno, però è già qualcosa. Sospiro, mi siedo con la mascherina che terrò per tutte le ore di servizio e svolgo il mio lavoro. Non è il massimo, ma è qualcosa.
Quanta bellezza: due prof e due postazioni entrambi equidistanti dagli alunni. In alcune aule ho visto anche un banco o una sedia con la ribaltina lo sai? Cecilia mi ha detto che uno dei collaboratori, nella scuola in cui lavora, le ha chiesto cosa preferisse, tenendo conto che Giulia, l’alunna con certificazione, si alza in continuazione. Se anche il collaboratore conosce Giulia e quindi attende di chiedere a Cecilia, insegnante di sostegno, cosa posizionare a un metro di distanza dagli alunni e dal collega, non è forse il trionfo dell’inclusione? Certo, bisognerebbe chiedere alla piccola Giulia, io lo so, ma sarebbe già tantissimo.
Sara
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