Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Vita di un’insegnante di sostegno… a distanza: a volte la DaD non è neanche didattica dell’emergenza

#questanonèinclusione

Caro Diario,

la didattica a distanza, in certi casi non è neanche la didattica dell’emergenza è la dimostrazione tragica che la Scuola è luogo di sviluppo e crescita delle persone. 

È un uggioso martedì di maggio e Filippo è collegato per seguire la lezione di scienze. Filippo ha il capo ruotato alla sua destra e dondola. Filippo dondola sempre e non ti guarda mai negli occhi. I microfoni dei compagni sono spenti e lui ha dei pupazzetti sul tavolo. Gioca, guardando chissà cosa e pensando a chissà che. Nel riquadro della sua webcam si vedono le mani della mamma che gli sfila i giocattoli e cerca di ruotare il volto di suo figlio verso lo schermo. Filippo si stranisce e accentua il suo dondolio, opponendosi, senza parlare. Lui è a casa, vuole solo i suoi pupazzi, non vuole guardare il pc. 

La didattica a distanza per gli alunni con specifici funzionamenti non è neanche la didattica dell’emergenza, ma la dimostrazione “tragica” che la Scuola, checché se ne dica, è il luogo necessario per lo sviluppo e la crescita delle persone. 

Filippo ha ripreso in mano i pupazzi e li ha sistemati in fila davanti allo schermo, la mamma continua a togliergli, ma lui si innervosisce e dalla webcam – seppur il microfono sia chiuso – si percepisce che l’ecolalia si fa più intensa. 

Facciamo tutti finta di niente – ma poi perché? Che c’è di male se Filippo dondola, gioca con i pupazzi e ripete a manetta la stessa sillaba?

La collega sta introducendo la classificazione degli esseri viventi e Filippo gioca e contemporaneamente lotta con la mamma che cerca ancora una volta di togliergli i pupazzi.

“Filippo? – lo chiamo accendendo il microfono – Cosa hai in mano?” 

Come una leonessa remissiva mi risponde la mamma: “Scusi Professoressa, sto cercando di toglierglieli”. Mentre io vorrei abbracciarla, le dico: “Perché Signora? Allora Filippo cos’hai in mano?”. La mamma lo incoraggia a rispondere. “Woody” “E poi?” gli chiedo per incoraggiarlo a farmi l’elenco degli altri pupazzi. “Dinosauro, Orso”. 

“Bene – rispondo – Filippo, puoi metterli in fila davanti allo schermo così i compagni possono vederli bene?” Non se lo fa ripetere due volte e li sistema in ordine come solo lui sa fare. Finalmente tutto trova il suo spazio nell’ambiente di apprendimento costruito al momento e che a Filippo non insegna, ma porta solo tranquillità. “Ragazzi? – dice la collega – partiamo dall’Orso, che tipo di essere vivente è?”. Questa non è inclusione, ma è l’unico modo per non escluderli. 

Sara

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