Verso il nuovo contratto: bisogno di nuove logiche di pensiero
Verso il nuovo contratto/1
Le trattative sono riprese e lo stile con il quale i sindacati si vedono impegnati nel confronto con il governo fa pensare che non siano mai state interrotte. E invece sono passati otto anni e più e molte cose avrebbero dovuto cambiare, a giudicare dai numerosi pronunciamenti di politici e associazioni nel frattempo intervenuti.
Innanzitutto si sarebbe voluto ridare un adeguato ruolo al personale della scuola rispetto al pubblico impiego ed in particolare per quanto riguarda la dirigenza scolastica; c’era chi pensava ad uno status giuridico e ad una carriera definiti per legge, sottraendo così la parte normativa alla contrattazione, o addirittura prevedendo per il personale direttivo e docente un ordine professionale ed un codice deontologico, lasciando ai sindacati solo la parte economica.
La prospettiva dell’autonomia delle istituzioni scolastiche dava molto più risalto ad un negoziato locale, elemento che avrebbe potuto ridare significato alle RSU. La stagione dell’autogoverno doveva portare molti più elementi di libertà nel rapporto di lavoro, in quanto le scuole da terminali territoriali dello stato avrebbero dovuto assumere la fisionomia di strutture per lo sviluppo formativo del territorio.
All’insegna dell’eguaglianza sociale, che corrispondeva ad un comportamento uniforme su tutto il territorio nazionale, i sindacati hanno costruito piattaforme da usare come strumento rivendicativo di fronte al governo centrale, da cui traeva ispirazione anche il contratto regionale, esigendo che fosse il rapporto governo e forze sociali l’ago della bilancia per tutto quanto costituiva l’ambito lavorativo delle diverse componenti e professionalità, oltre ad innescare come in passato un processo di delegificazione di tutte le norme nel frattempo emanate in detto ambito. Ed è questa la ragione per la quale autonomi e confederali hanno condannato la buona scuola, il cui torto non è tanto quello di aver tentato di introdurre altri meccanismi di governo, ma di averlo fatto su materie che riguardavano il personale senza averne cambiato i presupposti di fondo. Se la conclusione di tale presunta novità è quella di ricondurre ad un sistema centralistico c’è veramente da dubitare circa l’efficacia di certe nuove norme sulla mobilità, che poi si sono dimostrate largamente in impasse, così come è successo per la meritocrazia bypassando una dimensione collegiale della funzione docente, ecc.
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