
Valditara: oggi la vera rivoluzione è quella del buon senso

Un nuovo saggio del ministro Giuseppe Valditara, da qualche giorno in libreria (G.V., La rivoluzione del buon senso. Per un Paese normale, Guerini e Associati, 2025) si aggiunge alle altre sue pubblicazioni degli ultimi anni – È l’Italia che vogliamo (2022, alla vigilia delle elezioni), e La scuola dei talenti (2024) – opere dalle quali emerge un suo non banale sforzo di riflessione teorica sui caratteri della destra democratica italiana, riferita non solo al campo delle tematiche educative ma anche alla identità politico-culturale di questa formazione composita, della quale fanno parte i tre partiti che, coalizzandosi, hanno vinto le elezioni del 2022.
Delle tre parti in cui è diviso il libro, in effetti, quella più efficace e costruttiva (construens), è la terza (“Una svolta culturale”), nella quale vengono individuate nella Costituzione repubblicana, letta in chiave personalista, nel diritto romano e nella visione dell’uomo della religione cristiana, le fondamenta del modello di convivenza civile cosiddetto “occidentale”. Le prime due parti (“L’immaturità democratica di una certa sinistra” e “I passi indietro della sinistra”), caratterizzate da una chiara intenzionalità demolitrice (destruens) nei confronti di un avversario ritenuto irrecuperabile, non hanno lo stesso spessore critico della terza, ed anzi restano in molti casi poco più che slogan.
Secondo Valditara al massimalismo della sinistra si deve rispondere contrapponendo alle sue tante derive (che arrivano fino al “wokismo”) i benefici derivanti “da una seria considerazione della realtà” basata sul ripristino del buon senso e sulla rivalutazione della “normalità”. Da ciò derivano “centralità della persona e cultura del rispetto, responsabilità individuale e considerazione dell’autorità, doveri e non solo diritti” (concetto sul quale l’autore insiste a lungo, con citazioni di Giuseppe Mazzini e Aldo Moro), “importanza del lavoro frutto del talento e dell’impegno, sicurezza come libertà dalla paura, riscoperta della nostra storia, consapevolezza della nostra identità, fierezza della nostra civiltà”, che sono a suo avviso “i pilastri culturali di una moderna azione di governo”, oltre che le linee guida della sua politica scolastica.
Valditara, che ha avuto un passato da parlamentare (finiano) di AN, ma che è stato designato per l’incarico di ministro dell’Istruzione dalla Lega di Salvini, sembra voler riprendere il tentativo, che fu di Fini (e prima di Tatarella), di collocare la destra italiana in uno spazio di piena legittimazione costituzionale e di totale rottura con il fascismo (definito da Fini “male assoluto”). È in questo quadro che vanno interpretati la posizione da lui assunta sulla riforma Gentile (“Io vado in direzione opposta”), la rivalutazione dell’istruzione professionale, la (per ora solo annunciata) personalizzazione degli itinerari formativi e, in politica estera, l’esplicito filoatlantismo e anche una visione dell’Europa come “terra di libertà” (dice il ministro citando Eschilo, che nella tragedia I Persiani contrapponeva l’Europa all’Asia, “terra di schiavitù”). Una visione diversa da quella di Salvini, e più vicina a quella del Partito Popolare tedesco (e di Forza Italia): una collocazione saldamente euro-atlantica che Valditara sembra voler suggerire a Giorgia Meloni non solo come presidente di Fratelli d’Italia ma come leader dell’intero centro-destra (o destra moderata) italiano, in una prospettiva di tendenziale bipolarismo del nostro sistema politico.
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