La nuova frontiera dell’inclusione/2. Le tesi di Giuseppe Bertagna

Come risolvere alla radice il problema della educazione degli alunni con disabilità, e più in generale dei soggetti con bisogni educativi speciali (compresi i superdotati)? Secondo Bertagna va respinta in linea di principio l’idea che il discente debba conformarsi a una “norma”, debba raggiungere cioè determinati risultati imposti a livello istituzionale, o considerati “sufficienti” dalla prassi scolastica, per sostituirla con l’idea che ciascuna persona in formazione abbia caratteristiche e potenziali di apprendimento peculiari a partire dai quali va costruito un percorso formativo su misura, personalizzato.

Una impostazione che i lettori di Tuttoscuola già conoscono. Ad esempio nel dossier “La scuola colabrodo” (2018) invocavamo una scuola “che sappia apprezzare le diversità e riconoscere la multiformità delle intelligenze”. E aggiungevamo: “Il confine tra scartare ciò che non è ‘a norma’ e ricavare il massimo possibile – che è un principio di saggezza – può essere molto sottile, l’uno si adatta meglio alle cose, l’altro alle persone. E qui stiamo parlando dei nostri ragazzi”.

La necessità di “cambiare paradigma” nel sostegno, passando dalla logica dell’integrazione, ad una logica dell’inclusione, è stata evidenziata in uno speciale di Tuttoscuola del febbraio 2016. Nel dossier Italo Fiorin poneva l’accento sul fatto che nella scuola italiana continua a prevalere un’attenzione quasi esclusiva verso agli alunni con disabilità certificata, non prendendo in considerazione la complessità dall’ottica inclusiva. “Il paradigma dell’integrazione oggi non sembra più adeguato. Siamo ancora all’interno di una visione medicalizzante. Da tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità invita le istituzioni ad occuparsi in termini mirati non solo degli alunni con disabilità, ma di tutti gli alunni che si trovano, per una serie svariata e differenziata di motivi, con delle fragilità che rendono più difficile il loro percorso di apprendimento e di sviluppo personale”.

Nell’ottica della personalizzazione – è il senso del ragionamento di Bertagna – i “diversi” non vengono più “integrati” tra i “normali” con l’aiuto di un docente di sostegno ma vengono inclusi nella comunità educativa, come tutti gli altri, ad opera di tutti gli insegnanti, opportunamente formati per gestire alunni di diverso potenziale e stile di apprendimento. Basterebbero pochi insegnanti (ex di sostegno) superspecializzati, con funzioni di consulenti dei colleghi ordinari, per far fronte ai casi più complicati.

Bertagna riprende qui alcune suggestioni già avanzate al tempo della riforma Moratti, come quella dei LARSA (Laboratori per l’Approfondimento, il Recupero e lo Sviluppo degli Apprendimenti) e della funzione di mentor-tutor da affidare a insegnanti esperti (una figura a professionalità arricchita), proposte che allora incontrarono l’ostilità dei sindacati che le bloccarono, come si spiega in modo approfondito in altre notizie della newsletter di oggi.

La tematica dell’inclusione, tuttavia, non è trattata dall’autore come una materia a sé: essa è anzi inserita in una proposta di più complessiva riorganizzazione di tutta l’offerta formativa, da 0 a 18 anni, che va forse oltre le linee di politica scolastica finora enunciate dal ministro Valditara, ma che offre ad esse un quadro di riferimento organico.

In sintesi, Bertagna propone di “superare le discontinuità ordinamentali ancora oggi esistenti tra scuola primaria, media e secondaria, con un ridisegno unitario, continuo e progressivo del percorso formativo” attraverso sei bienni (quattro per il primo ciclo, due per il secondo, tagliando un anno alla scuola secondaria superiore) così organizzati in modo da “valorizzare con flessibilità i talenti e le eccellenze personali” (pag. 124): 

“a) attività essenziali per tutti (italiano, storia-geografia, Stem, inglese, più la trasversalità del digitale);

  1. b) attività opzionali valutate allo stesso modo delle precedenti all’interno e all’esterno delle istituzioni scolastiche;
  2. c) attività facoltative gestite dalle scuole e valutate dalle scuole e solo a campione all’esterno.

Gli apprendimenti essenziali comuni a tutti (comprensivi anche delle competenze digitali) vanno definiti con chiarezza inequivoca, brevità e realismo didattico dal Ministero dell’Istruzione per gli 8, 10, 12, 14, 16 e 18 anni di età”.

Proposte ambiziose (il libro ne contiene anche altre), destinate a suscitare consensi e dissensi. Vedremo se questa volta il consigliere Bertagna avrà più fortuna e ascolto che nelle precedenti occasioni.

Per approfondimenti:

Inclusione. La via maestra è la personalizzazione
Inclusione. Il ‘sostegno’ va dato a tutti
Ci vuole un nuovo paradigma

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