La rotazione dei dirigenti scolastici del Lazio che potrebbe essere imitata da altri USR

Si può dire che piove sul bagnato. Oltre alla preoccupante riduzione degli organici DS per effetto del nuovo dimensionamento della rete, è prevista, infatti, anche la rotazione di molti dirigenti scolastici decisa dall’USR Lazio, con un provvedimento che potrebbe essere imitato anche da altri Uffici Scolastici Regionali.

A differenza dei docenti e dal personale Ata che restano titolari di sede fino all’eventuale mobilità decisa da loro stessi, per i dirigenti scolastici è prevista una mobilità d’ufficio dopo un determinato numero di anni in sede, imposta dalla normativa anticorruzione nei confronti dei dirigenti pubblici.

Si tratta di una disposizione abbastanza ignorata, ma che, invece, il direttore generale dell’USR, Rocco Pinneri, nel corso di una videoconferenza con i capi d’istituto laziali ha dichiarato: «Dal prossimo anno i dirigenti scolastici che hanno già svolto due mandati nello stesso istituto (cioè sei anni, ndr), andranno trasferiti. Lo prevede una norma. E se non la applico, la Corte dei conti non registrerà più i vostri contratti». A dire il vero il problema non riguarda soltanto i 650 presidi del Lazio, ma anche gli oltre 7.500 DS a livello nazionale. E di loro circa uno su sei, a Roma come nel resto d’Italia, rischia di essere destinato a una nuova sede a settembre 2023. 

Già l’anno successivo al suo insediamento nel 2020, Pinneri aveva comunicato ai sindacati che soprassedeva temporaneamente alla mobilità dei DS a causa della pandemia, ma ora, a situazione normalizzata, ha deciso di procedere alla mobilità dei DS.

Immediata e dura la protesta dei sindacati della scuola che hanno chiesto l’intervento del ministro Valditara per evitare la mobilità dei DS nel Lazio e in altre regioni con un comunicato dal titolo eloquente: “Rotazione dei dirigenti scolastici messaggio di sfiducia inaccettabile”.

Flc-cgil Cisl-scuola, Uil-scuola e Snals stigmatizzano “l’applicazione generalizzata del principio di rotazione degli incarichi ai dirigenti scolastici: indipendentemente dalle condizioni territoriali, dalla complessità dei progetti in essere, dalle specificità degli istituti, dopo appena sei anni dovrebbero lasciare la scuola a loro affidata”.

Osservano che “La complessità della realtà scolastica, il coordinamento delle istanze del territorio con l’autonomia professionale dei docenti, l’autonomia del DSGA, delle famiglie e degli studenti, degli Organi collegiali, richiedono tempo, cura, fiducia e la creazione di alleanze educative.

La decisione dell’USR Lazio viene motivata dalla necessità di applicare la normativa sull’anticorruzione. In realtà – osservano i sindacati il rischio corruttivo è davvero molto residuale, considerando che le istituzioni scolastiche si distinguono all’interno della Pubblica amministrazione per la particolare organizzazione degli assetti decisionali, con doppia firma degli atti contabili con il Direttore dei servizi generali ed amministrativi, verifica diretta e costante dei revisori dei conti.

Peraltro, anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione è intervenuta a più riprese nel riconoscere la specificità della scuola nel contesto applicativo della normativa generale, sottolineando la “particolarità delle istituzioni scolastiche e il ridotto grado di esposizione al rischio corruttivo”.

La mobilità dei DS può essere persino molto dannosa se non tiene conto della complessità delle relazioni educative che il dirigente scolastico assicura, soprattutto in determinati territori particolarmente esposti a rischi sociali o a dispersione scolastica.

Nelle scuole, inoltre, spesso le segreterie sono sguarnite di personale e mancano i Direttori dei servizi (ad oggi circa duemila reggenze). In situazioni di questo tipo spostare il dirigente scolastico non può che essere deleterio, con grave danno della continuità amministrativa e dell’interesse pubblico, considerando la mancanza di continuità del Direttore dei servizi.

Le OO.SS. concludono il loro appello con queste considerazioni: “esprimono il più totale disaccordo con la decisione assunta dal direttore regionale dell’USR Lazio, rilevano l’implicito ingiusto messaggio di sfiducia che una simile rigida misura sembra trasmettere nei confronti della dirigenza scolastica, sottolineano con amarezza quanto non sia riconosciuto l’impegno quotidiano dei dirigenti nel far funzionare le scuole nonostante tutti gli inciampi amministrativo burocratici posti sul loro percorso”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente nazionale di Anp, l’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli: “Trovo inaccettabile l’applicazione di simili automatismi al mondo della scuola nel quale, da sempre caratterizzato dalla insufficienza delle risorse economiche è minimo il rischio di corruzione”.

Con il PNRR alle porte, già partito malissimo tra ritardi e impostazioni dirigiste errate, la stretta sul dimensionamento che porterà di per sé a un tourbillon di presidenze e gli altri problemi strutturali, sembra proprio che ci si voglia fare del male da soli. Si facessero piuttosto più controlli (concentrati anche sulla sostanza e non solo sulla forma), si ricostituisca un corpo ispettivo nutrito e strutturato, si rimuovano (anche prima dei sei anni) i dirigenti che non raggiungono risultati e si premino coloro che migliorano la qualità del servizio, invece di inseguire fantasmi corruttivi che si rifanno a regole pensate per organizzazioni ben diverse dalle istituzioni scolastiche, nelle quali – ricordiamolo – la ripartizione di competenze è variegata e dispersa tra i vari Organi collegiali e non (Collegio docenti, Consiglio di Istituto, RSU, Revisori dei conti, ecc …) e dove servono tutti o quasi per fare qualcosa, mentre basta uno o quasi per interdire qualunque cosa. La scuola soffre soprattutto di asimmetria operativa, non di corruzione.

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