Giovani in cerca di una bussola/2. No alla proletarizzazione degli insegnanti

Come si può pretendere che gli allievi rispettino gli insegnanti se lo Stato è il primo a non riconoscerne il valore, a proletarizzarne le condizioni di vita, a umiliarne la professionalità? (…). Questo però imporrebbe una selezione della loro attitudine, il ripristino di un criterio seriamente meritocratico, la valorizzazione dei migliori e un drastico allontanamento dalla Scuola di coloro che la parassitano”.

Non l’ha detto un liberista incallito, non è la voce del padrone o di qualcuno alieno all’idea di scuola come comunità educante. L’ha scritto Massimo Recalcati su Repubblica (3 maggio 2024), quindi su un giornale di sinistra, da sempre attento anche alle istanze sindacali.

Parole che ovviamente sottoscriviamo, perché da sempre – come sanno i nostri lettori – Tuttoscuola racconta, dati alla mano, quanto la professione docente sia stata svalorizzata (tasso di precarietà insostenibile, modalità e tempi di accesso improponibili, livelli retributivi inaccettabili, etc). Con la conseguenza che è stata disegnata una professione di serie B, e – con l’eccezione di chi la sceglie per vocazione e con un senso di missione, ma non si può contare solo su questo – da un lato poco attraente per i talenti che hanno più scelte, dall’altro sempre più spesso seconda o terza scelta per chi non trova strade migliori. E infine poco incentivante per chi è in ruolo, cosa di non poco conto. Questi i risultati di un sostanziale patto al ribasso sul quale è stato costruito il sistema (più posti, stipendi bassi, meno obblighi).

E al contempo abbiamo più volte affermato (anche in Parlamento in occasione di audizioni) che l’egualitarismo assoluto ha fallito nella storia e anche nella scuola, contribuendo ai mali che la attanagliano. “Stop quindi all’egualitarismo assoluto che fa parti uguali tra diversi (che ha protetto molto più chi aveva poca voglia di fare rispetto a chi ne aveva molta), riconoscendo che un contesto articolato e complesso come questo – composto da oltre un milione di persone – ha bisogno di figure docenti con profili diversificati. Diversificati anche nel tempo per una singola persona, che in trenta o quarant’anni di carriera può beneficiare di un’evoluzione professionale. Occorre” – abbiamo scritto più volte – “dare valore a ruoli chiave come quelli di staff, di specialisti, di mentori e di tutor (ce ne è un gran bisogno), e spazio a modelli organizzativi a leadership distribuita in cui si lavora per team integrati”.

Il fatto che comincino a diffondersi, anche in ambienti progressisti, opinioni come quelle espresse da Recalcati è un segnale da guardare con interesse e che non può essere ignorato da chi si è sempre ostinatamente opposto a qualsiasi diversificazione di ruoli e carriere nella scuola. Non c’è dubbio che governare e anche “gestire” (a volte con ingerenze da parte di corpi intermedi che vanno oltre il loro ruolo) un sistema complesso e dai grandi numeri come la scuola sia più facile con un ruolo unico e con la progressione salariale di anzianità (che “resta ferma”, come in maniera paradossale afferma la legge 79/22 – quella che ha partorito lo sgorbio del “docente incentivato” – che doveva recepire l’obiettivo del Pnrr di introdurre la carriera per i docenti).

Ma davanti a tutto va messo l’interesse degli studenti (che è la ragione sociale della scuola) a ricevere un servizio di maggiore qualità. La qualità la fanno gli insegnanti e allora vanno create le condizioni affinché in cattedra ci siano i migliori.

“Per le ragioni esposte” – ricorriamo di nuovo a quanto già scritto – “non è rimandabile un piano pluriennale che ammoderni questa grande infrastruttura della conoscenza come quello che servirebbe per le infrastrutture fisiche, con soluzioni a geografia e geometria variabile (inclusi incentivi dove domanda e offerta di lavoro non si incontrano, ndr). Insomma ci vorrebbe un ‘Piano strategico per la scuola’, come l’Italia non ha mai avuto, il più possibile condiviso sul piano sociale e politico, volto a rinnovare la scuola mettendola al passo delle sfide che porrà l’epoca che ci apprestiamo a vivere, per trasformarla nel volano che può rilanciare il paese. Una testata come Tuttoscuola – che si è data il motto ‘Più istruzione è la soluzione’ – ha la sua ragione di vita in questo. Servirebbero molte risorse, non c’è dubbio. Ma a ben vedere basterebbe mantenere l’incidenza della spesa per l’istruzione sul totale della spesa pubblica ai livelli attuali, invece di continuare ad abbassarla. La ‘riduzione di taglia’ a cui è avviato il sistema formativo italiano per effetto del calo demografico offre questa opportunità. Prevenire è meglio che curare. Sono le politiche lungimiranti che possono unire il paese, ancora di più in una fase così critica e insondabile.
Insomma non è tanto un problema di risorse, quanto e prima ancora di consapevolezza e di lucida determinazione da parte della classe dirigente e politica del nostro Paese”.
Ci vorrebbe il coraggio di avviare un patto “al rialzo” (più qualità, più sviluppo professionale, più investimenti). Chi è disposto a prendere l’iniziativa?

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