Giovani in cerca di una bussola/1. Lo smartphone non li aiuta, anzi

Si stanno moltiplicando in Italia e nel mondo, anche in forma di riflessioni sull’esito devastante che la pandemia ha avuto sulla crescita culturale e l’equilibrio psicologico degli adolescenti, le analisi sulla condizione esistenziale dei giovani e sulla (in)adeguatezza degli attuali sistemi educativi per aiutarli a farvi fronte.

Tra le ragioni che ostacolano l’efficacia dell’attività didattica che si svolge nelle scuole viene considerata sempre più spesso l’asimmetria tra il modo di apprendere delle ultime generazioni (la Zeta dei nati dopo il 1995 e soprattutto l’Alfa dei nati a partire dal 2010) – multimediale, iconico, reticolare – e il modo di insegnare della gran parte dei docenti in servizio: monomediale, verbale, sequenziale, fondato sul primato dei testi scritti.

È stato, ed è, soprattutto l’accesso precoce dei giovanissimi all’uso dello smartphone (il primo iPhone è stato lanciato da Steve Jobs nel 2007) a determinare cambiamenti radicali a livello neurobiologico e quindi anche nel loro stile di apprendimento e anche nel comportamento in classe, tanto che in un numero crescente di Paesi se ne sta vietando l’uso o addirittura la possibilità di portarlo a scuola (la Francia è stata la prima a porre limiti nel 2018, ma ora ha annunciato un’ulteriore stretta; poi con modalità diverse Germania, Gran Bretagna, Spagna, USA e Italia).

Negli USA, come da noi segnalato nello scorso mese di marzo, il noto psicologo Jonathan Haidt, autore del bestseller “The Anxious Generation”, ora molto citato anche in Italia, ha suggerito ai genitori di non permettere ai figli di usare lo smartphone fino a 16 anni, e alle scuole di consentirne l’uso solo a fini didattici dai 16 ai 18 anni, pena l’aggravamento delle malattie mentali in forte aumento negli ultimi anni. Segno del profondo malessere esistenziale che colpisce i giovani.

Su questo tema è tornato nei giorni scorsi anche lo psichiatra e psicoanalista Massimo Ammaniti, che in una intervista rilasciata per Repubblica a Maria Novella De Luca ha detto fra l’altro che “è la scuola che deve cambiare e creare un ponte verso una generazione che sta gridando il proprio malessere”, e che bisogna dire “basta con i prof in cattedra, arroccati dietro il programma, mentre migliaia di studenti sempre più smarriti chiedono di essere visti e ascoltati. O prendiamo coscienza che è in atto una mutazione antropologica dell’adolescenza, oppure perderemo il contatto con i giovani”. Tesi sostenuta, con riferimento ai genitori, anche dallo psicologo Matteo Lancini nel saggio “Sii te stesso a modo mio”. Aggiunge Ammanniti: “Cominciamo con il mettere un grande tavolo al centro dell’aula, a lavorare per gruppi. Anche perché l’altra faccia della tecnologia è che questi ragazzi hanno competenze nuove, sono velocissimi nell’imparare, nel creare nuovi linguaggi”.

Eppure, non mancano, anche in Italia, esempi di scuole che attuano una didattica innovativa che lascia gli studenti liberi di muoversi mentre realizzano project work di gruppo (magari con alunni BES protagonisti con i loro compagni), li incoraggia alla scoperta, e che fanno un uso corretto delle tecnologie digitali di ultima generazione. Il tutto a sostegno di una didattica personalizzata che sembra soddisfare il bisogno dei ragazzi di avere una bussola, una guida che li aiuti a scoprire e apprezzare la propria identità personale. Casi di eccellenza su questo piano, segnalati più volte da Tuttoscuola, sono ad esempio quelli dell’ITET “L. Einaudi” di Bassano del Grappa, dell’IC Ungaretti di Melzo, dell’IC n. 3 di Modena: non a caso scuole oggetto di visite da parte di altre scuole, di amministratori locali, di esperti, che consentono di verificare che anche nell’attuale sistema scolastico ci sono insegnanti preparati e motivati, e alunni soddisfatti, sotto la guida di una leadership illuminata. Lì il rapporto tra docenti e alunni si basa su fiducia e rispetto. Eccezioni irripetibili o modelli replicabili? Molto, quasi tutto dipenderà dalla qualità degli insegnanti e dalla loro formazione in servizio.

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