Giovani in cerca di una bussola/3. Decisivo il ruolo degli insegnanti

La figura dell’insegnante, in una scuola investita dalla rivoluzione digitale, resta al centro della riflessione internazionale sul futuro dei sistemi educativi, sia nei Paesi dove essa è socialmente apprezzata e valorizzata sia in quelli, come il nostro, dove essa ha invece subito una progressiva caduta sia nella considerazione sociale sia nella condizione professionale, non sostenuta da politiche innovative né sul piano economico (stipendi bassi e uniformi) né su quello giuridico-contrattuale (niente sviluppo professionale, nessun passaggio dal totem del ruolo unico a una pluralità di figure, formazione in servizio latitante o velleitaria).

Responsabilità bipartisan di una classe politica e dirigente come quella italiana che di fatto non ha mai voluto o saputo interrompere la tendenza inerziale del nostro sistema scolastico a sopravvivere senza mai cambiare i suoi tratti fondamentali: impianto amministrativo centralistico e burocratizzato, formazione iniziale dei docenti molto centrata sui saperi teorici senza pratica professionale (con la parziale eccezione dei docenti di scuola elementare-primaria), pervasività totalizzante del ruolo dei sindacati, favorita anche dalla debolezza dell’associazionismo professionale (a differenza di quanto accade, per esempio, in Francia). Così la figura dell’insegnante, un tempo almeno rispettata, è diventata bersaglio di critiche, dileggio e perfino aggressione da parte di studenti demotivati e genitori invadenti e presuntuosi.

Ma, tanto per cominciare – scrive Massimo Recalcati su Repubblica – “Come pretendere che i ragazzi rispettino i prof, se lo Stato è il primo a umiliarli con paghe da proletari?”, si chiede. E tuttavia, se lo Stato “ha la responsabilità massima di rivalorizzare la funzione degli insegnanti riconoscendo anche in termini economici il carattere decisivo della loro professione”, scrive lo psicanalista, è anche vero che spetta ai docenti di infondere agli alunni “il senso della Legge”, su cui si basa anche il recupero della loro autorità, e a questo punto si deve anche riconoscere che “la vocazione all’insegnamento è una cosa seria che andrebbe ripensata a fondo. Fare l’insegnante non può essere un ripiego qualunque. Avendo dedicato una vita all’insegnamento so bene quanto la parola di un maestro possa risultare decisiva nel cammino di una vita. A condizione che quella parola sia viva, accesa, non spenta dalla noia e dalla rassegnazione”.

Sul ruolo decisivo degli insegnanti, a condizione che sappiano abbandonare la logica formalistica della didattica tradizionale, insiste anche Roberto Franchini in un incalzante articolo pubblicato nel numero 642 (maggio 2024) della rivista mensile Tuttoscuola (“Focus Focus Focus”), di imminente distribuzione: “Formare le competenze umane (le competenze per la vita) è l’obiettivo che numerosi organismi internazionali e nazionali indicano come missione dell’istituzione educativa nel tempo presente. Non si tratta di retorica (da sempre si dice che la scuola “mette al centro la persona”), ma di un’esigenza concretissima: senso critico, collaborazione, tenacia, responsabilità e capacità di iniziativa sono solo alcune tra le doti che consentiranno ai giovani di costruire il bene comune, in un contesto complesso e volatile”. E aggiunge: “La scuola non sembra avere un particolare orientamento ai risultati, finendo in generale per essere gestita come un servizio da garantire, a prescindere dalla sua efficacia (…) trasformando così il diritto all’istruzione (centrato sulla persona) nel dovere di erogare prestazioni didattiche (centrate sulle organizzazioni erogatrici). La logica sottostante diventa legale e formale, orientata alla conformità piuttosto che alla responsabilità di garantire risultati (efficacia)”.

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