DL 36/22 in Parlamento. Cosa c’è da cambiare

Inizia in settimana l’esame al Senato (questo il calendario dei lavori) del decreto legge n. 36/2022, che contiene (articoli da 44 a 47) importanti disposizioni su formazione iniziale, in servizio e reclutamento dei docenti, destinate a mettere in subbuglio il mondo della scuola.

Le notizie che seguono analizzano alcuni dei principali passaggi del testo e contengono anche proposte di modifiche. Anticipiamo qui alcuni punti chiave, sottolineando che sono in gioco questioni fondamentali per il livello di qualità del sistema di istruzione, che incidono sul profilo futuro dei docenti italiani, su come verranno formati, su come verranno selezionati, su come si aggiorneranno e su quanto saranno motivati nel loro percorso professionale (o se invece verranno mortificati l’impegno e l’ambizione di chi vorrà fare di più). E infine le regole che oggi si intende fissare determineranno in buona misura se in futuro la professione di insegnante risulterà attrattiva agli occhi di chi dovrà entrare nel mondo del lavoro o se resterà una seconda o terza scelta, come purtroppo bisogna prendere atto che è per molti oggi. Con tutto ciò che ne consegue, in ultima analisi, sui livelli di apprendimento degli studenti e sulla competitività del sistema Paese.

Insomma la posta è molto alta. Diciamo subito una cosa: le aspettative per questo decreto, in base a quanto indicato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da cui trae origine e fondamento, riguardavano tre pilastri: il reclutamento, la formazione e lo sviluppo professionale (o carriera che dir si voglia). Ebbene il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile e ora all’esame del Senato “buca” clamorosamente il terzo pilastro, quello della carriera. Il testo non prefigura in alcun modo uno sviluppo professionale, che esiste se all’interno di una categoria professionale si distinguono ruoli, profili, incarichi aggiuntivi, e si valorizzano diversi livelli di esperienza e di competenze. Insomma se si spezza l’egualitarismo assoluto che mette sullo stesso piano 800 mila professionisti. Al contrario il testo del decreto è esplicito: “Resta ferma la progressione salariale di anzianità” (art. 44, c. 4).

Che significa? Il ruolo resta unico e il percorso piatto per tutti. Chi fa il minimo indispensabile, chi non ha competenze adeguate, chi non è apprezzato dagli studenti e dalle famiglie avanzerà alla scadenza prevista alla posizione stipendiale successiva esattamente come chi lavora dieci o più ore al giorno, chi si aggiorna costantemente, chi è ritenuto autorevole e sa affascinare gli studenti diventando un punto di riferimento per la loro crescita. Parti uguali tra diversi. Premiati di fatto i primi, mortificati nel loro impegno i secondi.

Ma il DL n.36/22 fa di peggio. Nel prefigurare un simulacro di carriera introduce la “formazione incentivata”, che riduce quella che è una componente nobile e fondamentale della professione a una “utilità” (“un elemento retributivo una tantum di carattere accessorio riconosciuto all’esito positivo del percorso formativo”), per la quale i docenti dovrebbero mettersi in gara (infatti “tale elemento retributivo” verrebbe riconosciuto “in maniera selettiva e non generalizzata”). Cosa c’entra con lo sviluppo professionale che dovrebbe differenziare chi svolge certe attività (pensiamo al middle management) e ha un certo profilo con competenze specialistiche da chi svolge attività e ha competenze ordinarie?

Insomma in un solo colpo il testo inviato alle Camere manca il terzo pilastro (la carriera) e snatura (per non dire svilisce) il secondo (la formazione).

Se non si vuole tradire la lettera del PNRR (che parla espressamente di carriera) e perdere un’occasione storica di ammodernare il sistema e rilanciare la professionalità docente, il Parlamento deve intervenire senza dimenticare di tenere conto delle aspettative della categoria e recuperare l’apporto sindacale in sede contrattuale per l’applicazione delle norme. Questo è possibile fissando gli indirizzi generali (introduzione di profili e livelli diversi) e lasciando ad Aran e sindacati il compito di definire per via contrattuale misure, tempi e modalità per rendere concreta la carriera.   

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