Scuola e politica/1. La banalità del dibattito

La newsletter di Tuttoscuola ha spesso intitolato “Scuola e politica” le notizie volte a spiegare le ragioni delle scelte (o non scelte) di politica scolastica effettuate nel tempo dai partiti e dai governi: l’obiettivo è sempre stato quello di fornire ai lettori chiavi di lettura delle decisioni (o non decisioni) prese in materia educativa dai diversi soggetti politici e istituzionali chiamati a occuparsene, soprattutto in occasione della formazione dei governi e delle campagne elettorali. Bene, questa volta, a distanza di una settimana dalla scadenza elettorale del 25 settembre, facciamo davvero fatica ad aiutare i lettori (e noi stessi) a dipanarsi nel labirinto di proposte che quasi mai si occupano del futuro degli studenti – che non votano, salvo i pochi maggiorenni – e quasi sempre del presente dei loro insegnanti, che invece votano e che più volte, in passato, hanno fatto valere il loro peso elettorale come gruppo di pressione.

Scuola e politica: citando Hannah Arendt

Se ci è consentita una citazione arendtiana, parleremmo della banalità di un dibattito (quasi sempre circoscritto agli addetti ai lavori, i responsabili scuola dei partiti) che non mette al primo posto la qualità del modello educativo ritenuto più idoneo per una società in forte evoluzione tecnologica e sociale come quella italiana di oggi ma affastella costose e irrealistiche proposte – dagli stipendi “europei” per gli insegnanti al tempo pieno dai 3 anni in su, dai 15 alunni per classe all’assunzione ope legis di 150-200.000 precari – in una affannata rincorsa dai tratti demo-populisti. La banalità del dibattito, mediocre come il “male” della Arendt, è stata notata da autorevoli analisti della politica scolastica, tra i quali Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli (“La scuola bloccata” è il titolo del suo ultimo libro), Fiorella Farinelli, già sindacalista della Cgil e assessore all’educazione al Comune di Roma (“Populismo è una parola grossa, ma diffuse curvature populiste ci può stare”, scrive in un disincantato articolo pubblicato su Education 2.0) e Daniele Checchi, economista del lavoro e dell’istruzione dell’Università Statale di Milano (“Qual è l’idea di scuola dei partiti? Nei programmi elettorali nessuno esplicita apertamente la propria visione, per paura di perdere consensi”, si legge nel suo intervento sul sito lavoce.it). Anche il Centro Studi Erickson fa un’analisi dei programmi elettorali sulla scuola rilevando una mancata centralità dell’istruzione e nessuna visione coerente, rifacendosi allo studio di Tuttoscuola che per prima ha compiuto il 19 agosto una ricognizione e comparazione dei programmi, con successivi approfondimenti delle principali proposte, sottoposte a un puntuale cost checking.

Scuola e politica: una partita persa?

Partita persa? La scuola è irriformabile? Non resta che confidare nella ripresa, dopo le elezioni, di un vasto dibattito pubblico sulla qualità e sul destino del sistema scolastico italiano e sull’ulteriore sviluppo – che per fortuna è in corso e si vede (Tuttoscuola ne è il testimonial) – delle spinte innovative endogene e della transizione alla scuola digitale, tema quest’ultimo quasi ignorato dai partiti nella campagna elettorale in corso.

Scuola e politica: a dialogo con i responsabili scuola dei diversi partiti politici

Nel frattempo si possono ascoltare le interviste ai responsabili scuola dei partiti che Tuttoscuola sta incontrando in apposite dirette, chiamandoli “Alla lavagna”. Ospite di lunedì, 19 settembre, alle 16.30, Irene Manzi, responsabile scuola del Partito Democratico, mentre martedì 20 settembre alle 16:30 la diretta con Luigi Gallo del M5S.

Per approfondimenti:

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