La Scuola che Sogniamo: per una valutazione educativa per migliorare insegnamento e apprendimento

Di Cristiano Corsini

Il “Documento condiviso per una valutazione educativa” (che è possibile leggere nel numero 632 di Tuttoscuola) è frutto di un’elaborazione che ha coinvolto collegialmente un gruppo di insegnanti di scuola primaria, secondaria di I e II grado e università. Ciò che unisce questo gruppo di docenti (che ha poi dato vita al CVE, “Coordinamento per la Valutazione Educativa”) è l’idea che la valutazione sia una strategia didattica, un mezzo da impiegare per migliorare insegnamento e apprendimento e non un’arma da brandire per far sì che studentesse e studenti si impegnino di più. Il documento, articolato in cinque punti, definisce la valutazione educativa un processo che consente di pervenire a giudizi di valore, emessi sulla distanza tra il livello degli apprendimenti osservato e quello auspicato, in grado di fornire indicazioni utili per la riduzione di tale distanza. Il documento, tuttavia, parte da un’amara considerazione: non tutte le valutazioni che si svolgono in ambito scolastico e universitario sono educative.

In effetti, se consideriamo educative le attività che arricchiscono le esperienze successive, è difficile non notare l’esistenza di valutazioni che tendono ad avere effetti diseducativi sullo sviluppo degli apprendimenti. Questo avviene in primo luogo laddove la valutazione viene concepita non come mezzo per generare una conoscenza utile a orientare apprendimento e insegnamento, ma come fine rispetto al quale conformare le attività.

Pretendere che si studi per ottenere buoni voti o per evitarne di pessimi è il miglior modo per sviluppare un orientamento opportunistico e una motivazione estrinseca nei confronti dell’apprendimento, col risultato di svuotare di senso l’attività didattica, agevolare il ricorso a comportamenti opportunistici e alimentare processi di mercificazione del sapere. Ne risulta un consolidamento di quel feticismo valutativo che incide negativamente sulle possibilità di sviluppare una motivazione intrinseca verso l’apprendimento di cose belle e vive. Questo processo non è affatto nuovo, da decenni è oggetto di riflessione in ambito pedagogico, didattico e docimologico ed è stato vividamente ben rappresentato della Scuola di Barbiana (Lettera a una professoressa, 1967): “Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro. Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi stringi il succo è quello. Per studiare volentieri nelle vostre scuole bisognerebbe essere già arrivisti a 12 anni. A 12 anni gli arrivisti sono pochi. Tant’è vero che la maggioranza dei vostri ragazzi odia la scuola. Il vostro invito volgare non meritava altra risposta”.

Va considerato che la tendenza a trascurare gli effetti della valutazione sullo sviluppo degli apprendimenti rimanda a quello che, secondo John Dewey (Esperienza e educazione, 1938), è da ritenersi tra i più gravi errori in ambito educativo, ovvero il ritenere che un individuo impari soltanto quel particolare contenuto che studia in un dato momento, mentre. “L’apprendimento collaterale”, ovvero la formazione di attitudini durature e di repulsioni, può essere e spesso è molto più importante.

In secondo luogo, le valutazioni diseducative sono legate alla scelta di incentrare la comunicazione della valutazione in itinere sul voto – ovvero su una sintesi ordinale del (“sei”, “diciotto”, “sufficiente”) – piuttosto che sulla restituzione dei punti di forza e di debolezza di quanto realizzato da uno studente e sull’indicazione del lavoro da svolgere per migliorare le attività successive. In questo modo, al perché, al come e al cosa della valutazione non viene data alcuna rilevanza. La valutazione coincide col voto (numerico o meno che sia) e questa identificazione viene introiettata al punto che, fuori e dentro le scuole, per gran parte delle persone valutare senza voto equivalga a non valutare. L’introiezione di questa identificazione da parte di studentesse e studenti è così pervasiva che troppo spesso il soggetto che apprende tende ad avvertire non già il bisogno di indicazioni adatte a migliorare i propri apprendimenti, ma voti utili a chiarire la propria posizione all’interno di una graduatoria di sommersi e salvati.

Leggi il dossier integrale dedicato alla valutazione educativa nel numero 632 di Tuttoscuola

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