Perché la formazione in servizio dei docenti è indispensabile

La ricerca internazionale, quella accademica ma anche quella più empirica collegata alle grandi indagini comparative come quelle dell’OCSE e della IEA, è concorde nell’individuare nella qualità delle competenze possedute dagli insegnanti il fattore che incide di più sulla qualità dei risultati raggiunti dagli studenti: più del numero di alunni per classe, più della disponibilità di attrezzature e computer, perfino più della condizione socio-culturale delle famiglie di provenienza.

Ma la professionalità dei docenti non è data una volta per tutte: ha bisogno di essere continuamente aggiornata, come tutte le professioni investite dalla rivoluzione digitale del XXI secolo. Soprattutto nella scuola dei nativi digitali serve che i docenti sappiano utilizzare, ad esempio, le nuove tecnologie nella loro attività didattica ordinaria (a partire dalle competenze sul coding, previste dal decreto scuola in corso di approvazione), e questa non è una competenza già in loro possesso (per l’Ocse il 75% dei docenti italiani necessitano di una maggiore formazione in materia di ICT): la devono imparare, soprattutto nella prospettiva – che sembra essere quella cui guardano tutti i sistemi educativi a livello internazionale – della individualizzazione e personalizzazione degli itinerari di studio.

Ma altre scienze e neoscienze bussano alla porta delle scuole, dalle scienze cognitive alle applicazioni mediche della neurobiologia, dalla realtà virtuale all’infosfera di cui parla Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione a Oxford, come carattere dominante della ‘quarta rivoluzione’ nella quale siamo ormai immersi. Si evolvono le modalità di apprendimento, ed è impensabile che chi esercita la professione dell’insegnante ignori tutto questo e le ripercussioni che tutto questo ha e avrà sulla formazione degli studenti. Per questo, come d’altra parte già accade in molti Paesi dell’area OCSE, la formazione in servizio dei docenti deve essere a nostro parere obbligatoria e verificabile anche in Italia, meglio se collegata a grandi progetti di ricerca-azione.

Se non lo si fa, e subito, il sistema scolastico italiano finirà entro pochi anni per invecchiare, e cadrà come una foglia secca, sostituito da altre agenzie formative che avranno saputo adeguarsi alle esigenze della ipermodernità, come la chiamava già trent’anni fa un profetico Aldo Visalberghi.