Miur e sindacati vogliono rendere la formazione dei docenti opzionale?

“Nelle scuole il personale esercita il diritto alla formazione in servizio anche nella forma dell’aggiornamento individuale”. E poi: “Tutto il personale in servizio può accedere alle iniziative formative”. Lo si legge nel documento di “Ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale Integrativo” sulla formazione firmato il 19 novembre scorso da Miur e sindacati.

Sembrano frasi innocue e invece potrebbero essere il grimaldello per aggirare una conquista della legge 107/2015: “la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale”. Frasi sottoscritte dal Miur, naturalmente.

Da obbligo a diritto. I docenti potranno aggiornarsi, se vorranno. Nessun obbligo. In barba alla legge. Se è questo il piano, Ministero e sindacati lo dicano forte e chiaro, ne prendano la responsabilità e lo spieghino agli studenti, alle famiglie, al Paese. Se non è questo, lo smentiscano con chiarezza, rassicurando tutti.

Chi pone l’educazione degli studenti al centro della missione della scuola vuole insegnanti preparati e aggiornati durante tutta la loro carriera. Può forse sostenersi il contrario? E allora, chi intende mettere in discussione questo principio? Per quali ragioni?

I tantissimi docenti che curano costantemente il proprio aggiornamento professionale non hanno alcun problema a riconoscere l’obbligo della formazione, che è un principio di garanzia per tutti. Può essere utile invece ad altri che per svariati motivi possono trascurare questo aspetto, magari per un periodo della loro vita professionale. D’altronde tutte le professioni organizzate prevedono ormai un sistema di aggiornamento professionale. Vale per medici, avvocati, commercialisti, notai e così via.

Perché nel documento che porta la firma di Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Federazione Gilda Unams, oltre ovviamente a quella del Miur, non si parla di obbligo di formazione in servizio dei docenti, come fa la legge in vigore (comma 124 della legge n. 107/2015), che la considera anche permanente e strutturale?

Conta solo il diritto (sacrosanto) del personale alla formazione e quindi a poter accedere a iniziative formative, o anche il diritto (altrettanto sacrosanto) degli studenti, delle famiglie, della società a operatori scolastici preparati e aggiornati, dal giorno in cui prendono servizio fino a quando – trenta o quarant’anni dopo – andranno in pensione?

“La formazione in servizio rappresenta, eticamente oltre che giuridicamente, il presupposto fondamentale per lo sviluppo professionale individuale e della intera comunità docente, oltre che obiettivo prioritario da raggiungere per il 2020 nello spazio europeo dell’istruzione e della formazione (Education and training 2020 (ET 2020) – Conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea del 12 Maggio 2009), che individua nel corpo docente la risorsa chiave per il miglioramento della qualità dei sistemi educativi in Europa.

In questa prospettiva, lo sviluppo professionale continuo (Continuing Professional Development – CPD) è ormai considerato come un obbligo professionale nella maggior parte dei paesi europei”.

Lo scriveva il Ministero dell’istruzione nel 2016, nel Piano per la formazione dei docenti 2016-2019. Mica ci avrà ripensato? Sarebbe ancora più sorprendente se si considera che il governo in carica è sostenuto dal PD e che a Viale Trastevere siede come viceministra Anna Ascani, paladina della legge sulla Buona Scuola. Urgono rassicurazioni a riguardo.