Maturità, valutazione, curricolo verticale e scuola dell’Infanzia: uno strano (e indispensabile) dialogo

Ormai lo sappiamo benissimo: con l’anno scolastico 2018/19 entra pienamente in vigore anche quanto contenuto nel Capo III del Decreto legislativo n° 62/2017 ovvero “Esame di stato nel secondo ciclo di istruzione”. Attraverso questo decreto, si porta a compimento, nell’intenzione del legislatore, la sistematizzazione delle azioni che regolano e accompagnano la valutazione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione. Rispetto alla questione che qui interessa, in realtà, e sebbene i riferimenti normativi citati in premessa al decreto stesso siano esaustivi, è solo il Regolamento sulla valutazione periodica e finale e sulla certificazione delle competenze nel primo ciclo, ovvero il DPR 122/2009,  che viene sostanzialmente rivisitato, la Legge 425/1997 e il conseguente DPR 323/98 che disciplinavano l’Esame di stato conclusivo del II ciclo e la Legge 176/2007 che aveva introdotto  la prova scritta a carattere nazionale gestita da Invalsi a conclusione del I ciclo di istruzione. Ne abbiamo parlato nell’ultimo numero di Tuttoscuola in un articolo di Filomena Zamboli, dirigente tecnico Usr della Campania.

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In buona sostanza con la modifica delle modalità/procedure valutative relative agli “Esami di Stato”, ovvero agli step che giuridicamente caratterizzano la conclusione dei percorsi nel nostro sistema scolastico, si è inteso dare organicità ad un momento fondamentale del “fare istruzione” che appariva necessario. Evidentemente, però, il testo normativo, nel suo complesso, risente delle mediazioni che conseguono alla storia della cultura valutativa e certificativa del sistema scolastico italiano, il quale non ha nel suo background strumenti standardizzati costruiti e affermatisi attraverso percorsi culturalmente e socialmente condivisi. Il dibattito acceso sull’utilità e sulla finalità comparativa delle prove Invalsi ne è la prova. Difatti, in Italia, la funzione formativa della valutazione con la conseguente produzione di effetti migliorativi e la funzione accertativa della valutazione con l’inevitabile rigore e autorevolezza che ne deriva, pure da più parti richiesti, si incrociano continuamente nel confronto sia sociale e culturale che di settore. E impatta anche significativamente la costruzione delle strade di valutazione di sistema che si sta realizzando.

Proprio alla luce di quanto detto la riflessione culturale si prospetta orientata alla necessità di ripensare non solo la “fine” del percorso ma il percorso stesso, il curricolo appunto, di cui l’esame conclusivo rappresenta il coronamento.

E’ ancora attuale e ampiamente condivisibile quanto affermano A. Ajello e C. Pontecorvo a proposito del curricolo:  Occuparsi del Curricolo significa dare rilievo alla funzione di trasmissione, costruzione ed elaborazione culturale che la scuola svolge e alla necessità di analizzare, criticare, trasformare, pianificare i contenuti culturali proposti nelle varie istituzioni scolastiche, in stretta connessione con gli obiettivi generali e specifici dei livelli e degli ordini di scuola, dei metodi d’insegnamento, delle possibilità e dei materiali di apprendimento, dell’ interazione didattica e sociale tra gli insegnanti e allievi e tra gli allievi stessi” (Il Curricolo. Teoria e pratica dell’innovazione – 2002). Alla luce delle modifiche normative e organizzative del nostro sistema scolastico, la diffusione capillare degli istituti comprensivi per esempio, degli investimenti nella cultura valutativa di sistema a partire dal Rav, della istituzione del Ptof e delle esperienze metodologico-didattiche che hanno caratterizzato la “scuola delle competenze”, si sente oggi forte l’esigenza di ri-partire dall’essenza del fare scuola. E quindi dalla costruzione e realizzazione e valutazione dei percorsi che devono caratterizzare le strade dell’apprendere dei nostri studenti.

Piace qui richiamare la metafora della carriola di Tiriticco “Va detto con forza che, quando si parla di curricolo, non si deve intendere solo quello scolastico ma quello ben più ampio che intriga e influisce su un nuovo nato e per tutta la vita. L’organismo di un umano, fin dalla nascita, reagisce agli stimoli esterni, li fa propri e ap/prende, com/prende nella misura in cui questi sollecitano le sue reazioni… Ciascuno di noi pensa, agisce, produce nella misura in cui reagisce a stimoli esterni ed interni: dal freddo alla neve, dalla fame alla sete e alla stessa vita lavorativa e non. Pertanto, è come se ciascuno di noi spingesse fin dalla nascita e per tutta la vita una carriola invisibile (curriculum in latino vale sia come carriola che come percorso)”.

La costruzione del curricolo verticale, che trova i suoi fondamenti giuridici nel Regolamento dell’autonomia (DPR. n. 275/1999), comporta che ogni scuola provveda nell’ambito del piano dell’offerta formativa triennale, a sviluppare un proprio progetto educativo, culturale e formativo unitario (il curricolo appunto) nel rispetto delle peculiarità dei diversi gradi di istruzione. Tale curricolo verticale si colloca, altresì, in una prospettiva nazionale ed europea e promuove il dettato costituzionale e democratico per la crescita e lo sviluppo delle competenze degli alunni. Il passaggio fondamentale che ciascuna istituzione scolastica deve intravedere e tracciare nei propri Ptof, va dalle Indicazioni nazionali/Linee guida al curricolo reale, cioè al curricolo che, oggi, sia relativamente all’esame di Stato che alla certificazione delle competenze, “pesa” in termini formali di credito e di indicatori.

Proprio il lavoro che nei giorni scorsi ha occupato i Consigli di classe, e non solo nella trasmigrazione dei crediti da una scala di misurazione all’altra (l’attribuzione di ben 40 punti di credito al curriculum scolastico dello studente è indicativa del peso che lo stesso assume), incita a definire con chiarezza, ovvero a ben documentare il curricolo di classe. Di questo abbiamo continuato a parlare nell’ultimo numero di Tuttoscuola.

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