La scuola che verrà: inclusione, personalizzazione, digitalizzazione

La scuola che verrà/3.

Nelle scorse settimane abbiamo già provato a sottoporre ai nostri lettori alcune considerazioni sul significato e la portata delle tre idee guida che a nostro avviso dovrebbero ispirare una politica scolastica realmente innovativa, affidata all’autonoma gestione delle scuole e accompagnata da una sistematica valutazione di sistema dei processi in corso: inclusione, personalizzazione e digitalizzazione.  

La personalizzazione dei curricula dei singoli studenti, a nostro avviso indispensabile per la loro piena inclusione, è oggi, e sarà ancora più domani, grandemente facilitata dalla digitalizzazione degli strumenti e dei processi di insegnamento e apprendimento, ma naturalmente non può essere rimessa alla scelta discrezionale dei docenti: dovrebbe essere indicata esplicitamente come un vincolo per l’attività didattica di tutti gli insegnanti. Una scuola su misura, in grado di valorizzare le attitudini e i talenti di ognuno, in cui si limitino le bocciature ai soli casi di chi si rifiuta di impegnarsi nello studio, a chi non rispetta la disciplina (dal momento che ciascun alunno sarebbe valutato essenzialmente per le competenze che acquisisce nelle singole attività, alte o basse che esse siano, senza effetti selettivi). Una scuola in cui ogni studente possa tirare fuori il meglio e nessuno sia escluso dal processo educativo almeno fino ai 18 anni.

L’obiezione che viene in genere rivolta a una impostazione di questo genere, almeno in Italia (non così in altri Paesi che non prevedono o limitano al massimo le bocciature tra cui quelli del Nord Europa, ma anche la Corea e in parte gli USA), è che il livello medio degli apprendimenti scenderebbe e che alcuni studenti non acquisirebbero competenze fondamentali per il loro futuro.

Non ne siamo affatto convinti per almeno due motivi. Il primo è che il pieno e libero sviluppo dei potenziali di apprendimento e dei talenti individuali rimotiverebbe molti degli studenti finora destinati ad abbandonare precocemente la scuola e non danneggerebbe certo (anzi favorirebbe) gli altri studenti, innalzando la media. Il secondo è che con l’aiuto delle tecnologie sarebbe molto più agevole sostenere didatticamente gli studenti che hanno difficoltà nelle competenze di base – diciamo italiano, matematica e media education: il core curriculum comune a tutti – funzionali agli altri apprendimenti e oggetto principale di valutazione a livello nazionale e internazionale.

Da quando? Il prima possibile, cominciando magari con una sperimentazione nazionale nelle scuole secondarie di primo e secondo grado che si dichiarino disponibili attraverso delibere dei loro Collegi e Consigli di istituto.