DaD: colmiamo i gap invece di bocciarla acriticamente

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Nel bilancio del passato anno scolastico sono stati tanti gli elementi di novità – da leggere oggettivamente in positivo e in negativo – che il sistema d’istruzione è stato costretto a registrare.

Un dato macroscopico è rappresentato dalle ore di lezione e di attività educativa non svolte in presenza: 190 milioni di ore. Si tratta di un dato oggettivo che va doverosamente conosciuto ma che non può essere valutato in sé, perché non voluto, non scelto, determinato soltanto dall’emergenza.

Va invece valutata l’alternativa messa in campo, la DAD, la didattica a distanza sia nella parte trasmittente (gli insegnanti verso gli alunni) che in quella ricevente (gli alunni a casa).

Da un monitoraggio condotto dal ministero è emerso che il 94% dalle istituzioni scolastiche hanno attivato forme di DAD. Il dato, ritenuto da molti sovrastimato, può essere invece attendibile, ma non riguarda la prestazione degli insegnanti: è relativo alle scuole che in qualche modo hanno attivato, completamente o parzialmente, la DAD. E che non entra nel merito delle modalità e della relativa adeguatezza.

Di quei 190 milioni di ore non svolte in presenza quanti milioni di ore sono state svolte in DAD?

Secondo l’Agcom il 12,7% degli studenti non ha usufruito della DaD durante l’emergenza sanitaria, e 25 su 100 hanno avuto problemi di velocità della connessione da casa. Sarebbe interessante anche conoscere quanti docenti, sostenuti inizialmente da qualche sindacato minore, si sono rifiutati di svolgere la DAD (senza decurtazione di stipendio o cassa integrazione) oppure quanti altri lo hanno fatto solo a sprazzi. La maggior parte, sotto l’aspetto quantitativo, ha tuttavia onorato l’obbligo di servizio, e anzi molti hanno dichiarato di aver lavorato più del normale in questo periodo.

Ad ogni modo gli effetti sui livelli di apprendimento si potranno riscontrare solo nel tempo, così come  si saprà se vi è stato un incremento della dispersione scolastica.

Probabilmente sono stati i bambini della scuola dell’infanzia i più sacrificati dalla mancanza di attività educative in presenza, possibili soltanto per il tramite delle loro insegnanti. Ma non sono mancate scuole che hanno proposto attività sensoriali e creative che hanno catturato l’attenzione dei bimbi con soddisfazione dei genitori. Certo, ci vogliono infrastrutture e dotazioni nelle scuole e nelle case – in tutte le case. E neanche basta. Occorrono docenti formati a questo tipo di didattica e una progettazione educativa consapevole e meditata.

Bisognerebbe concentrarsi su come colmare questi gap con un serio piano di azione, invece che bocciare acriticamente e in maniera autolesionistica e poco lungimirante modalità che possono arricchire la didattica tradizionale e svolgere una fondamentale funzione suppletiva in caso di nuova emergenza.