Indagini internazionali/4. Servono agli insegnanti?

Nel corso dell’incontro pomeridiano svoltosi il 12 dicembre alcuni dei partecipanti (citiamo tra gli altri Giorgio Allulli, Luciano Benadusi, Giovanni Biondi, Antonio Augenti, Giuseppe Desideri) hanno avanzato  obiezioni di varia natura sull’idoneità dei test attualmente impiegati ad evidenziare (e misurare), al di là delle competenze di base in lettura (reading literacy), matematica e scienze, attività, apprendimenti e competenze più complesse, come quelle che richiedono senso critico, creatività, fantasia, capacità di interagire e collaborare. Competenze che richiedono un intenso e continuo scambio tra studenti e docenti, e che solo questi ultimi sono in grado di cogliere nel loro divenire stando in classe con i loro alunni.

Al quesito, posto da alcuni, sulla possibilità che a partire dalle esperienze realizzate e dalle ricerche in corso si giunga a definire una tipologia di prove capace di valutare anche tali attività i due relatori hanno dato risposte assai diverse. Più netta, quasi brutale, la risposta di Hanushek: al momento ciò non è possibile, perché tali competenze sono per definizione non misurabili, a differenza dei “minimum skills” che servono per lavorare oggi e che sono oggetto dei test.

Più complessa, ma sostanzialmente positiva la risposta di Schleicher (come quella data da Sestito nell’intervento mattutino sulle prove Invalsi), a cui giudizio già gli attuali test soddisfano in parte l’esigenza di mettere in luce alcune capacità critiche (“critical thinking”), funzione che sarà prossimamente implementata anche sulla base dei risultati delle ricerche in corso volte a predisporre software idonei a valutare le prestazioni nelle prove di problem solving e in quelle basate su composizioni scritte di tipo espositivo e argomentativo (“essays”).