Dio dov’è? Cronache di guerra e di speranza ai confini dell’Europa felix

Ci sono libri che potrebbero sostituire (o riempire) le 33 ore 33 di Educazione civica nelle nostre scuole per la loro forte capacità di coinvolgere la sfera razionale e quella emotiva del lettore, soprattutto se giovane e un po’ idealista, dunque ancora non reso scettico o indifferente dalle vicissitudini lavorative o familiari delle generazioni adulte. Uno di questi è sicuramente l’ultimo lavoro di Domenico Quirico, noto e autorevole giornalista, inviato di guerra del quotidiano La Stampa, intitolato Che cos’è la guerra (Salani editore, Milano, settembre 2019).

Si tratta di un ampio reportage sui principali Paesi investiti negli anni 2010-2011 dalle ‘primavere arabe’ (Tunisia, Egitto, Libia, Siria) e sulle vicende dello Stato islamico (ISIS), cronache di rivolte e di guerre narrate in presa diretta dall’autore, che si è mosso quasi sempre da solo (il sottotitolo del volume è Il racconto di chi l’ha vissuta in prima persona) e che ha corso gravi rischi, compreso il rapimento subito per 5 mesi nel 2013 quando era in Siria.

Quirico racconta ciò che ha visto, e i tanti incontri che ha realizzato nel decennio di cui parla, dal 2010 al 2019, con una tecnica espositiva avvincente, non priva qua e là di passaggi delicati sotto il profilo letterario, ma più spesso scabra e potente per l’asprezza delle immagini e l’intensità delle storie umane raccontate. Tra queste ultime colpiscono le motivazioni, presentate in forma di testimonianze dirette, che alcuni militanti della Jihad islamica pongono a fondamento e giustificazione delle loro azioni, anche di quelle più efferate (“Sono il braccio di Dio”…), e la descrizione della condizione sub-umana nella quale si trovano in Libia gli aspiranti migranti, tanto da indurre una donna a riassumere la sua disperazione in una domanda: “Dio dov’è?”.

Nella parte finale del volume Quirico, che ha incontrato anche molti giovani extracomunitari immigrati illegalmente in Italia, ma comunque felici di viverci, fa una domanda evidentemente rivolta ai decisori politici italiani: “Sono davvero pericolosi per la nostra civiltà tutti questi ragazzi così pieni di speranza e di buona volontà? Meritano davvero di essere respinti in blocco o di essere imprigionati dall’altra parte del mare, in condizioni disumane, da banditi spietati pagati da noi?”. La risposta che l’autore si dà è amara: “Sì, perché l’unica soluzione che la civile Europa è riuscita a trovare, oltre all’inutile e velleitaria ‘chiusura dei confini’, è quella di accordarsi con le peggiori bande criminali libiche perché tengano le sofferenze dei migranti al riparo dai nostri occhi egoisti”. Ma così facendo abbiamo ucciso (noi europei, ricchi e irresponsabili) “ogni speranza di alternativa” consegnando “centinaia di giovani alla propaganda estremista”.

Proprio l’Europa, o più ampiamente l’Occidente, come scrive Quirico, patria di quel Diritto che “codifica ‘il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità’ che spetta a ogni uomo, senza specificazioni”, ha tradito questa sua missione. “Non siamo stati all’altezza di ciò che diciamo di essere”, conclude l’autore. Una conclusione pessimista, che potrebbe essere smentita, come si accennava in apertura, solo da una svolta radicale impressa dai giovani occidentali del XXI secolo. (ON)