Differenziare gli stipendi/2. Per materia insegnata o per costo della vita

Prima domanda: che cosa fare se non si trovano ingegneri o chimici, ma anche matematici o architetti, disposti fare gli insegnanti? In una economia di mercato la soluzione sarebbe semplice: basta pagarli di più. Ma in Italia il contratto nazionale della scuola non prevede questa possibilità e non c’è alcuna differenza tra gli insegnanti delle diverse classi di concorso.

Seconda domanda: che cosa fare se sono pochi gli insegnanti residenti nel Mezzogiorno disposti a trasferirsi al Nord, dove – soprattutto nelle grandi città ­– il costo della vita è molto più alto che nel Sud e nelle Isole? Anche qui la risposta sarebbe semplice se le scuole disponessero di una vera autonomia finanziaria, e potessero integrare lo stipendio base dei docenti. Ma quel tipo di autonomia è escluso dagli attuali ordinamenti e anche dal contratto nazionale, che prevede solo un modesto fondo integrativo (il FIS) legato a determinate prestazioni del personale, e non al costo della vita nel territorio dove la scuola è collocata.

Finora non è stata data risposta a queste due domande, e le diverse ipotesi di differenziazione degli stipendi, riaffacciatesi in questi giorni nel dibattito pubblico apertosi a seguito delle recenti dichiarazioni del ministro Valditara, sono state condannate dai sindacati, con la timida eccezione dell’ANP, che però rappresenta i presidi e non gli insegnanti. Così la Grande Macchina della scuola italiana continua a funzionare (male) per forza di inerzia, come ha fatto per decenni, senza affrontare i problemi derivanti dalla crescente scarsa attrattività della professione di insegnante, dovuta anche alla mancata soluzione delle questioni indicate.

Quel che è certo è che va superata la progressione stipendiale legata alla sola anzianità (come invece ha confermato di recente il Parlamento convertendo in legge il decreto voluto dal Governo Draghi). La retribuzione del docente non dovrebbe coincidere con la pura prestazione ore –lezione ma comprendere le attività di tutoraggio, accompagnamento, recupero, progettazione, coordinamento, formazione. Ciò richiede una differenziazione dei profili e degli orari (magari a scelta dell’interessato).

Una via d’uscita, almeno per quanto riguarda l’integrazione degli stipendi base, la si vorrebbe trovare attraverso l’autonomia regionale differenziata, un provvedimento previsto nel programma unitario della coalizione che ha vinto le elezioni e il cui iter legislativo sarà avviato dal Consiglio dei ministri del prossimo 2 febbraio, come ha assicurato Matteo Salvini nella puntata di Otto e Mezzo dello scorso 26 gennaio rispondendo a una precisa domanda di Lilly Gruber. Ne parliamo in questa notizia.

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