Differenziare gli stipendi/3. A livello regionale con contrattazione integrativa?

Nello scorso mese di novembre 2022, il neonominato Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, ha presentato alle regioni italiane la bozza di disegno di legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, un provvedimento che, come si accenna nella precedente notizia, dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri del prossimo 2 febbraio. Una data scelta, non a caso, a ridosso delle elezioni regionali in Lombardia (12 febbraio), guidata dal leghista Attilio Fontana.

Il citato terzo comma dell’articolo 116, inserito nella Costituzione dalla riforma costituzionale del 2001, voluta dal centro-sinistra e confermata da referendum popolare, dispone quanto segue: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata”.

Verrebbero così estese ad altre Regioni le Intese intervenute con le tre (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) che le hanno già sottoscritte e che riguardano anche la scuola, con esclusione delle “norme generali sull’istruzione”, di competenza esclusiva dello Stato (Art. 117: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: […] istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”). Ma, specifica l’art. 117, “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Questo significa che, ferma restando la competenza esclusiva dello Stato sulle norme generali (ordinamenti, titoli, durata degli studi) nelle materie amministrative sarebbero le Regioni ad avere potestà legislativa primaria. Negli accordi preliminari stabiliti dalle tre Regioni con lo Stato si prevede, tra l’altro, quanto segue: “In particolare, in materia di istruzione, gli accordi preliminari prevedono una maggiore autonomia delle Regioni:

  • nella programmazione dell’offerta di istruzione regionale, definendo la relativa dotazione dell’organico e l’attribuzione alle autonomie scolastiche attraverso un Piano pluriennale adottato d’intesa con l’Ufficio Scolastico Regionale, fermo restando l’assetto ordinamentale statale dei percorsi di istruzione e delle relative dotazioni organiche;
  • nell’integrazione degli organici con posti in deroga ai sensi della normativa in vigore in tema di contratti a tempo determinato attraverso la costituzione di un fondo regionale.

Una formulazione abbastanza ampia da consentire in prospettiva che accanto alla contrattazione nazionale ce ne sia una integrativa, a livello regionale, che potrebbe avere anche contenuti economici, magari nella forma di contributi alle singole scuole utilizzabili anche per incrementare i magri stipendi degli insegnanti. Sarebbe complicato per i sindacati, nella loro dimensione regionale, rinunciare a svolgere un ruolo contrattuale su una materia di questo genere. Forse è anche per questo che i sindacati nazionali alzano barricate preventive. Ma non c’è dubbio che un certo aumento retributivo vada comunque previsto per tutti gli insegnanti.

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