Competenze non cognitive/1. Confronto aperto
Il dibattito sulle cosiddette “competenze non cognitive” del quale abbiamo dato notizia nella nostra newsletter della scorsa settimana, si sta sviluppando con l’intervento, in particolare, delle numerose personalità politiche, appartenenti ai diversi partiti (in pratica tutti) che hanno consentito l’approvazione quasi all’unanimità della legge da parte della Camera (5 astenuti, nessun contrario).
L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia apparso sul Corriere della Sera dello scorso 22 gennaio, pesantemente critico verso i fautori della legge (che ora è passata all’esame del Senato), ha suscitato la reazione di alcuni degli ispiratori della proposta, i professori Giorgio Vittadini (presidente della Fondazione per la Sussidiarietà) e Giorgio Chiosso, pedagogista, che hanno inviato al quotidiano una pacata lettera di spiegazione delle ragioni positive a favore della introduzione (sperimentale) delle competenze non cognitive non nell’elenco delle materie di studio ma nelle metodologie di insegnamento, essendo tali competenze personali o socio-emotive “fattori non quantificabili che però incidono sugli apprendimenti”. Ben più piccata la reazione dei parlamentari dell’intergruppo per la solidarietà (Paolo Lattanzio, Valentina Aprea, Flavia Piccoli Nardelli, Vittoria Casa, Angela Colmellere, Gabriele Toccafondi, Maurizio Lupi), che in una lettera inviata anche a Tuttoscuola parlano, a proposito delle critiche mosse da Galli della Loggia, di “ennesimo scomposto attacco al Parlamento, etichettato come luogo ‘dove regnano incompetenza e demagogia’, nella convinzione che gli attacchi alle istituzioni e il continuo tentativo di screditarle non facciano del bene né al Paese né alla scuola”.
Invece, è la loro tesi, l’apprendimento delle stesse competenze cognitive (le discipline tradizionali) può essere favorito sviluppando tra gli alunni quelle “non cognitive”, o soft skills, come “la flessibilità, la creatività, l’attitudine alla risoluzione dei problemi, la capacità di giudizio, la capacità di argomentazione e la capacità di interazione”. Insomma, proprio quelle attitudini, atteggiamenti, disposizioni che nel veemente articolo di Galli della Loggia erano considerate “in sostanza abilità a integrarsi senza problemi nella società com’è (in particolare a quella sua parte che ha a che fare con il mondo del lavoro), ad adeguarsi con successo ai suoi precetti, a introiettare le sue norme ‘autocontrollandosi’ e mostrandosi capaci di ‘risolvere i problemi’”. Ciò che corrisponderebbe, a suo giudizio, al “vecchio progetto di ogni totalitarismo”, quello di rendere la scuola perfettamente funzionale al potere costituito.
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