Competenze non cognitive/2. A rischio il canone pedagogico occidentale

Si può parlare di un modello educativo, o canone pedagogico, occidentale? Ed è corretto affermare che la visione della scuola dell’Ocse, che ha sede a Parigi e importanti ispiratori negli USA, si ponga al di fuori o addirittura contro tale canone pedagogico, come scrive Galli della Loggia (ma lo hanno sostenuto anche alcuni importanti pedagogisti come Benedetto Vertecchi)?

La risposta dipende, naturalmente, da quali sono i contenuti e i confini di tale “canone educativo occidentale”, che potremmo definire come l’insieme di riferimenti culturali (letteratura, filosofia, storia, arti, scienze, musica), che sono considerati rilevanti e meritevoli di essere custoditi e trasmessi dalle classi dirigenti di un Paese o di un insieme di Paesi, come quelli che fanno parte dell’occidente, o più precisamente da quella sua parte che è governata da sistemi politici liberal-democratici.

Pur con specificità locali in questi Paesi l’educazione, storicamente riservata alle élites nelle sue espressioni più elevate e raffinate, e solo recentemente rivolta ai ceti popolari, si è incentrata, come giustamente rileva Galli, sulla formazione del carattere degli allievi “attraverso i saperi delle sue varie discipline, dispensando ai giovani le più disparate conoscenze e lasciando che poi nell’animo di ognuno di essi quelle conoscenze, i libri letti, i pensieri e le emozioni nati nell’aula scolastica durante ogni ora di lezione, s’incontrassero con la sua indole, la sua fantasia, il suo animo e fecondandole dessero vita a quella cosa che si chiama la personalità”.

Da questo punto di vista è giustificato il timore che il disegno strategico dell’Ocse volto all’uni-formazione della cultura di base, dei valori e dei comportamenti di grandi masse popolari (anche attraverso il testing e le comparazioni internazionali come PISA) si ponga al di fuori del canone pedagogico occidentale come sopra definito, e lo stesso si può dire dell’operazione “competenze non cognitive”, o soft skills, lanciata dal disegno di legge approvato dalla Camera. È vero che si tratta di una sperimentazione triennale, che bisognerà vedere quale sarà la risposta della scuola, e in che cosa, e in che modo, si modificherà effettivamente l’azione didattica degli insegnanti. Ma non è insensato temere che il tutto si tradurrà in uno spreco di soldi, di tempo e di opportunità (di fare qualcosa di più utile). Chissà se il Senato avrà la stessa baldanzosa sicurezza con la quale la Camera ha approvato il disegno di legge.

Ma che fare? Qui Galli della Loggia non ci aiuta perché la sua polemica, per quanto fondata, è solo destruens. Proviamo a ragionare in questa notizia.

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