Competenze non cognitive/3. Servono più competenze di base. Per tutti

Sulla crisi della scuola e sul modo per uscirne il confronto è sempre vivace, e negli ultimi due anni, in coincidenza con la diffusione della pandemia, si è intrecciato con le polemiche relative alla DaD, e più ampiamente al modello di scuola su cui puntare, in termini strategici, per il dopo Covid-19.

Si contrappongono due (almeno) scuole di pensiero: quella di chi vuole ricostruire e rilanciare, in sostanza, la scuola tradizionale, fondata sull’insegnamento delle discipline, e quella di chi ritiene che si debba aprire una fase nuova, centrata sull’apprendimento individuale in ottica inter o trans-disciplinare, e la personalizzazione degli itinerari formativi adeguatamente assistita dalle tecnologie online e offline.

Galli della Loggia appartiene certamente alla prima scuola di pensiero, e nella stessa direzione vanno lavori come Il danno scolastico di Ricolfi-Mastrocola e in parte anche il capitolo scolastico della ben più articolata riflessione di Franco Brevini Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? Il limite di queste analisi sta nel fatto che non spiegano come evitare che il ripristino della scuola tradizionale finisca per ripristinare anche i difetti della vecchia scuola: la rigidità dei curricula, la selettività su base sostanzialmente censitaria, lo spreco di risorse umane, lo scollamento con gli interessi e le stesse modalità di apprendimento degli studenti delle ultime generazioni ipertecnologizzate.

La via maestra per il post-Covid-19, come abbiamo provato a suggerire anche attraverso il nostro progetto La scuola che sogniamo, è quella di una scuola in grado di affascinare i giovani, di far scattare in loro la scintilla del sapere, che sappia, da una parte, assicurare a tutti – ma proprio a tutti, anche differenziando gli obiettivi, e senza ripetenze – le competenze di base, quelle di cittadinanza, fino ai 16 anni (lingua materna, matematica, scienze, tecnologia), che renda i piani di studio più flessibili già a partire dalla scuola media e che nella secondaria superiore (da ridurre a 4 anni) consenta a ciascun alunno di scegliere le 3-4 discipline sulle quali prepararsi nel biennio terminale (16-18 anni) per sostenere l’esame finale, possibilmente da collegare agli studi o attività formative e di studio-lavoro post-diploma.

Auspichiamo che il confronto pubblico su questi argomenti sia aperto e appassionato, come meritano le tematiche di cui ci siamo occupati in questa newsletter parlando della questione delle competenze non cognitive, anche se la classe politica italiana nell’attuale condizione mostra di non essere in grado di compiere scelte in vera discontinuità con la scuola del passato, come mostra anche l’altra legge, approvata anch’essa a larghissima maggioranza nella corrente legislatura, quella sulla educazione civica, enciclopedica e vaga. È realistico pensare che se ne potrà parlare solo nella prossima legislatura, a Parlamento rinnovato. Ma intanto è bene che se ne discuta. Partendo da un fatto di tutta evidenza: la scuola di oggi fa fiorire in misura limitata e soprattutto non generalizzata quelle competenze trasversali che sono invece fondamentali per affrontare con successo le complessità della vita che i giovani dovranno affrontare. La questione dunque non può essere elusa.

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