Carriera (mancata) e formazione incentivata, il Governo Draghi tira dritto

Resta ferma la progressione salariale di anzianità”. E poi: “Al fine di incrementare l’accesso ai predetti percorsi formativi è previsto per gli insegnanti di ruolo di ogni ordine e grado del sistema scolastico un elemento retributivo una tantum di carattere accessorio”. Un premio saltuario che verrà erogato per la prima volta nel 2026 a una platea che per il primo anno raggiungerà circa l’1 per cento dei docenti di ruolo (sono stanziati per quell’anno 40 milioni di euro). Avete letto bene: l’1 per cento tra quattro anni, si inizia così. Per una gratificazione puramente economica per una volta soltanto, poi chissà quando ancora.

Si è chiusa così al Senato la partita sulla carriera dei docenti per la conversione del DL n. 36. Ovvero sull’introduzione di percorsi che consentano “la possibilità di accumulare capacità professionali e di salire quindi nella scala gerarchica della professione, fondata sulla competenza” (è la definizione che ne dà la Treccani). Un impegno, quello preso dall’Italia di fronte alla Commissione e ai partner europei per l’attuazione del PNRR, che è stato sostanzialmente disatteso, come si deduce dai virgolettati in apertura.

Negli ultimi due mesi Tuttoscuola ha posto con forza l’attenzione sul tema: lo sviluppo professionale degli insegnanti è un fattore cruciale per attrarre alla professione i giovani più preparati e per alzare il livello di motivazione di chi svolge un mestiere sempre più complesso. Tali fattori si riflettono direttamente sulla qualità del servizio e quindi sui livelli di apprendimento che possono raggiungere i nostri studenti. Che sono mediamente bassi, come noto. E uno dei motivi fondamentali è proprio il fatto che chi è dietro la cattedra è poco considerato, è trattato male economicamente e non solo, è spesso privato di stimoli e non ha prospettive professionali, anche perché il suo percorso sarà lo stesso sia che si impegni al massimo sia che non lo faccia.

Nelle prime settimane dopo che era stato reso noto il sorprendente contenuto del decreto presentato dal Governo Draghi, abbiamo lamentato il “silenzio assordante” intorno alla questione.

Poi si sono cominciate a registrare reazioni critiche verso questa sezione del provvedimento. Una buona parte della politica ha mostrato perplessità e l’intenzione di apportare modifiche sostanziali per introdurre realmente elementi di carriera (come testimoniato dagli interventi al convegno organizzato da Tuttoscuola a Didacta); anche una componente importante del sindacato ha mostrato ampie aperture (indubitabile in questo senso la recente dichiarazione della segretaria generale della Cisl Scuola Ivana Barbacci: “siamo pronti a discutere e definire nella sede appropriata e legittima” (il contratto), altrettanto chiara la presa di posizione dell’ANP e dell’Ancodis); numerosi esperti hanno invitato il Governo e il Parlamento a cambiare direzione (citiamo tra gli altri Andrea Gavosto e Giuseppe Cosentino), molti altri che abbiamo sentito la pensano così anche se non hanno preso posizione pubblicamente. E così tante donne e uomini di scuola. C’è stato anche chi ha lasciato la compagine governativa, come Mario Ricciardi, consulente del ministro Bianchi per i rapporti con i sindacati e per la gestione del contratto, già presidente dell’ARAN, che si è dimesso in netto dissenso con il testo del DL 36, in quanto non corrispondeva all’atto di indirizzo che aveva presentato lui stesso all’inizio dell’anno ai sindacati.

Nulla da fare. Chi è nella stanza dei bottoni, nel trilatero tra Via Venti Settembre, Viale Trastevere e Palazzo Chigi, non ha ascoltato nessuno: né quando ha scritto quel testo, né quando si sono sollevate tutte quelle voci, e nonostante in Parlamento – che è la sede deputata a legiferare – ci fosse un’intesa traversale per apportare modifiche significative nel senso almeno di una prima modulazione di un percorso di carriera.

I pochi grand commis e superconsulenti “padri” del testo che diventerà presto legge si sono in questo modo assunti una grossa responsabilità. In primo luogo perché la Commissione europea, se volesse essere attenta, potrebbe notare che di vera carriera non si vede traccia, in quanto non ci sono differenziazioni di ruoli, profili, incarichi aggiuntivi. E poi perché il sistema scolastico ha un grande bisogno di ritrovare motivazione.

La formazione incentivata sarà lo strumento giusto? Non lo sappiamo. Di sicuro non è vera carriera ed è in contraddizione con il concetto di formazione obbligatoria. Ma così è stato deciso.

Per approfondimenti:
Carriera degli insegnanti, la riforma che non c’è – un dialogo con Tuttoscuola: diretta YouTube martedì 28 Maggio alle 21:30 organizzata da Canale Agorà YouTube di Liberi Oltre, rubrica La Mala Educasiòn (https://m.youtube.com/watch?v=8NTuPzOoPMU)

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