Autonomia scolastica e carriera degli insegnanti

Recenti “newsletter” di Tuttoscuola hanno evidenziato mestamente come la riforma delle carriere, prevista dal PNRR (missione 4), sia stata totalmente ignorata dal decreto legge n. 36/2022, che pure avrebbe dovuto costituire lo strumento di attuazione di uno degli impegni assunti con l’Europa per rendere più efficace il sistema scolastico.

Le “newsletter” hanno sottolineato anche come la tematica non sia stata inclusa neppure tra i molti obiettivi dello sciopero del 30 giugno proclamato contro il D.L. n 36/2022 dalle Organizzazioni sindacali della scuola, nella cui piattaforma si registra l’assenza di specifiche proposte sull’introduzione di ipotesi di “carriera” previste nel percorso professionale dei docenti.

La posizione dei sindacati è in realtà più articolata (in particolare la Cisl scuola si è fatta carico del tema)  ma, comunque, assolutamente comprensibile, tenuto conto che la materia appunto non è prevista nel D.L n 36/2022, che si tratta  di una legge non condivisa – in contrasto peraltro con gli impegni precedentemente assunti dal Governo con il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” – e che, soprattutto, non sono state indicate a tal fine adeguate risorse aggiuntive rispetto a quelle, già insufficienti, previste per l’ordinario rinnovo del Contratto di Lavoro.

Motivo quest’ultimo che aveva a suo tempo già costituito la ragione fondamentale della mancata attuazione dell’ipotesi di accordo sulle carriere degli insegnanti formulata nel giugno 2004 dalla Commissione incaricata di dare attuazione all’ art 22 del CCNL scuola all’ epoca vigente.

Va apprezzato piuttosto al riguardo l’intervento del prof. Giannelli dell’A.N.P. che ha confermato pieno impegno sul tema da parte della sua associazione, nonostante la questione del “middle management” soffra ancora dello “stigma” di un presunto “aziendalismo”.

Né sulla questione delle carriere hanno avuto maggiore fortuna alcune iniziative parlamentari come quella, assai organica, dell’On Aprea del 2009 che prevedeva, tra l’altro, tre livelli di docente, iniziale, ordinario ed esperto, proposta di recente tradotta in un emendamento al decreto.

In più la frustrazione determinata dalla scarsa attenzione da parte del Governo, sordo, anche dopo il recente sciopero, ad un concreto riconoscimento del ruolo dei docenti, a partire dai loro stipendi, rende comprensibilmente “inattuale” la problematica!

Al di là comunque della mancanza di risorse “dedicate” e della generalizzata riserva a differenziazioni, anche economiche, all’interno della funzione docente, la diffidenza verso tale tema è dettata soprattutto dal fatto che almeno una parte dei docenti non ne sente l’esigenza concreta e non ne comprende le finalità, al di là di un modestissimo sviluppo economico che viene assicurato comunque più pacificamente con lo scorrere dell’anzianità.

Eppure la questione della “carriera” – e della connessa “governance” delle scuole – va ben al di là della problematica contrattuale e attiene a ragioni profonde di organizzazione del Sistema scolastico, con riflessi decisivi sul concreto esercizio dell’autonomia delle scuole.

Il “convitato di pietra” di questo dibattito è costituito in effetti, da decenni, dalla concreta attuazione dell’autonomia delle scuole che, nella sua impostazione originaria, avrebbe dovuto essere lo strumento per consentire alle singole scuole di esprimere una propria progettualità e di definire una specifica offerta formativa più “personalizzata” rispetto a quella sino ad allora possibile con i “piani di studio nazionali”.

Il piano dell’offerta formativa, in questa prospettiva, avrebbe dovuto essere non un atto meramente formale ma la dichiarazione delle priorità assunte nel progetto formativo complessivo che caratterizza l’identità della scuola.

Presupposto di tale impostazione era l’assunzione condivisa di un modello collettivo di progettazione di piani di studio flessibili e di programmazione delle attività didattiche, di autovalutazione degli esiti formativi, al fine di predisporre gli eventuali interventi integrativi, di interazione strutturata  tra la scuola ed il territorio circostante, ivi compreso il mondo del lavoro – si pensi alle attuali inadeguate modalità di  gestione dei PCTO (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) – di dialogo costruttivo e non subordinato con famiglie, enti locali ecc.

Ciò avrebbe dovuto comportare una più forte azione collegiale e “cooperativa” nelle scuole in fase decisionale, con la capacità di tradurre tali decisioni, anche attraverso unità organizzative formalizzate, in azioni coerenti e durature, superando, come ricordava Piero Romei,  i miti della “libertà di insegnamento” che,  fraintesa, è alla base delle chiusure individualistiche, dell’ insegnamento come espressioni di “doti personali innate” anziché anche di specifiche professionalità acquisite, di un rapporto tra insegnamento/apprendimento concepito come un processo inestricabile in cui è impossibile distinguere ruoli e responsabilità.

Va sottolineato, a scanso di equivoci, che proprio l’autonomia delle scuole richiede che l’eventuale modello organizzativo risponda alle specifiche caratteristiche ed agli obiettivi di ciascuna scuola.

 E’ necessario pertanto sfuggire a modelli organizzativi uniformi ed avvalersi invece delle specifiche professionalità esistenti in ciascuna scuola, riconosciute stabilmente attraverso meccanismi di sviluppo professionale, che diano spazio alle esperienze maturate, agli incarichi precedentemente svolti, alle attività di formazione.

Il dato che ritengo tuttavia fondamentale è che questo modello di scuola – centrato sulla autonoma progettualità delle scuole circa le modalità di raggiungimento degli obiettivi formativi, prima che sui pur necessari aspetti organizzativi, che ne sono semmai la conseguenza coerente – non dovrebbe esercitarsi tanto su  interventi didattici paralleli e aggiuntivi, coinvolgenti pochi docenti, ma proprio sulla definizione comune dei piani di studio – nell’ambito ovviamente delle indicazioni nazionali – e  sulla riflessione comune circa le modalità didattiche più efficaci.

Tutto ciò non si è ovviamente sinora realizzato, se non da parte di poche realtà, nonostante da decenni sia stata superata a livello legislativo e regolamentare l’organizzazione degli ordinamenti degli studi per “programmi ministeriali”, uniformi per tutte le scuole dello stesso tipo, e si siano invece impostati piani di studio (vedi ad esempio perfino quello dei licei  e tanto più quello degli istituti professionali) che definiscono solo il “ profilo educativo, culturale e professionale dello studente”, gli “obiettivi di apprendimento” e le “indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi di apprendimento”,  lasciando spazio anche a integrazioni locali dei piani di studio.

L’esigenza sottesa a questa impostazione, peraltro comune a Governi di centro sinistra e di centrodestra, era quella di non irrigidire i piani di studio, rendendo possibile un loro adattamento nel tempo e nelle diverse circostanze, nell’ambito ovviamente dei quadri di riferimento legislativo e regolamentare propri di ogni tipo di scuola.

Le stesse “indicazioni nazionali” avrebbero dovuto avere, originariamente, natura non vincolante   -ma piuttosto di proposta e di sostegno per le scuole – ed essere pertanto, nella prospettiva, sempre meno ampie, proprio per rispettare l’autonoma progettualità della scuola e la loro capacità di realizzare i percorsi formativi in maniera più efficace nello specifico contesto in cui esse operano.

Ecco perché una governance capace di gestire l’autonomia delle scuole, della quale è presupposto un personale docente che sviluppi nel tempo un profilo professionale stabilmente riconosciuto, con specifiche competenze, pur nell’unitarietà della funzione, costituisce la condizione difficilmente eludibile del pieno sviluppo dell’identità delle scuole, senza la quale ovvia conseguenza è il riprodursi di fenomeni di centralismo burocratico, nazionali o regionali che siano!

*Già Capo Dipartimento MIUR