Il 2023 della scuola, dalla A alla Z

Pubblichiamo, come consuetudine da oltre vent’anni, il riepilogo dei principali avvenimenti che hanno riguardato la scuola italiana nell’ultimo anno.

Con l’occasione porgiamo a tutti i più sinceri auguri per il 2024!

(L’originale, dal 2002)
 
Fatti, avvenimenti e persone – Consuntivo del 2023
A cura di TUTTOSCUOLA

A

Alfieri (settembreottobre) – Arrivano in libreria quasi in contemporanea, a distanza di poche settimane l’uno dall’altro, gli ultimi due libri di suor Anna Monia Alfieri, entrambi dedicati, sia pure con approcci diversi, al tema del pluralismo educativo e di una effettiva parità, non solo giuridica, tra le scuole statali e quelle non statali che abbiano acquisito, in base alla legge n. 62 del 2000, la qualifica di “paritarie”.

Due libri ma una sola battaglia, combattuta in un arco di tredici anni (la sua prima pubblicazione sul tema è del 2010) con una intensa attività pubblicistica e una crescente presenza in trasmissioni televisive e sui social. Con un unico obiettivo, quasi un mantra, quello di dare anche alle famiglie italiane, come ormai accade in quasi tutto il mondo liberal-democratico, la libertà di scegliere – senza dover subire penalizzazioni economiche – tra scuole pubbliche e scuole private che rispettino determinati standard di sistema.

Sui tempi e sui modi per realizzare questo obiettivo Alfieri è più possibilista di qualche anno fa, quando aveva cavalcato in forma tranchant la proposta del buono scuola (di importo corrispondente al costo standard per l’erogazione del servizio) come via maestra per la soluzione del problema. Ora, come si legge in particolare nel primo dei due libri, Il pluralismo educativo. Una scelta ancora possibile (casa editrice Morcelliana, collana Scholé, prefazione di Dario Antiseri), Governo e Parlamento vengono sollecitati a intervenire con urgenza per “rivedere le linee di finanziamento del sistema scolastico italiano attraverso l’introduzione graduale, nel medio periodo, dei costi standard di sostenibilità da declinare in convenzioni, voucher, buono scuola, deduzione”.

Da notare che l’appello al Parlamento, e non solo al Governo, lascia intendere la preferenza dell’autrice per una ampia convergenza politica sul tema, da lei peraltro sempre cercata da quando, a partire dal 2015, ha cominciato ad intessere una rete di rapporti personali con ministri ed esponenti di diversi partiti. Il suo timore, verosimilmente, è che una soluzione del problema partisan, del solo Centro-destra (ora Destra-centro), sarebbe troppo divisiva e anche impopolare agli occhi di molte famiglie, e incontrerebbe forti difficoltà e resistenze anche a livello amministrativo. Di qui la prudenza, la gradualità e la flessibilità delle soluzioni giuridiche e finanziarie proposte.

B

Berlinguer (novembre) – Luigi Berlinguer, già ministro della Pubblica istruzione nel primo governo Prodi (1996-2000), 91 anni, muore il primo giorno di novembre, dopo una lunga malattia, all’ospedale Le Scotte di Siena, sua città di elezione.

Originario di Sassari, cugino di Enrico Berlinguer, ha vissuto da protagonista un lungo percorso politico prima nel Pci, poi nel Pds, nei Ds e infine nel Pd.

Unanime il cordoglio e l’omaggio resogli anche da avversari politici storici. Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, lo ricorda così su X: “Apprendo ora con grande dolore della scomparsa di Luigi Berlinguer. È stato un ministro appassionato di scuola, sempre aperto al dialogo, ha lasciato una traccia importante. Ai suoi cari le mie più sentite condoglianze”.

Anche Valentina Aprea, responsabile scuola di Forza Italia dal 1994, offre la sua testimonianza: “L’ultimo confronto tra di noi, appassionato e franco come sempre, c’è stato il 1° giugno 2022Spesso non eravamo d’accordo sulle soluzioni da adottare per migliorare la qualità della scuola italiana, ma nei nostri contraddittori non è mai mancato il riconoscimento reciproco della comune volontà politica e istituzionale di ricercare nuove e più idonee modalità per sostenere docenti e studenti nell’impresa educativa al nostro tempo.

Luigi Berlinguer lascia una traccia importante nella storia della scuola italiana, anche se il suo bilancio è fatto di chiaroscuri: tra le principali riforme realizzate la normativa sull’autonomia delle scuole e quella sulla parità; tra gli insuccessi la riforma dei cicli e il tentativo di differenziare il trattamento economico degli insegnanti selezionando e premiando una minoranza di “bravi” (un quinto della categoria): operazione che suscitò una ribellione degli insegnanti talmente diffusa (il 2000 era un anno preelettorale) da indurlo alle dimissioni.

Berlusconi (giugno) – Muore Silvio Berlusconi, leader e fondatore di Forza Italia, più volte presidente del Consiglio tra il 1994 e il 2012. Con lui inizia una nuova fase politica, da alcuni politologi denominata “Seconda Repubblica”, caratterizzata dal cosiddetto bipolarismo, favorito dalla riforma del sistema elettorale in senso maggioritario promossa da Sergio Mattarella.    

Personaggio poliedrico, imprenditore di successo in molti campi prima del suo ingresso in politica (edilizia, televisione, editoria, sport), Berlusconi ha cercato di estendere alla politica le ricette innovative da lui applicate come imprenditore, annunciando svolte radicali in politica economica, sociale e anche scolastica. Tra le rivoluzioni inserite da Berlusconi nella piattaforma elettorale che permise alla coalizione di centro-destra di stravincere le elezioni del 2001 ci fu anche quella della scuola, affidata alla manager Letizia Moratti. Ma lo scenario di radicale modernizzazione dell’intero sistema scolastico evocato nello slogan propagandistico delle “tre i” (internet, inglese, impresa) rimase sulla carta perché la riforma Moratti (legge n. 53/2003) non andò in quella direzione, limitandosi di fatto a procrastinare i vecchi ordinamenti, oltre a introdurre la figura del tutor (poi non decollata per l’ostilità dei sindacati) e l’importante novità dell’alternanza scuola-lavoro: cambiò solo l’etichetta degli istituti tecnici, ribattezzati “licei” ma rimasti gli stessi, mentre l’istruzione professionale fu lasciata andare alle deriva in una terra di nessuno, tra residue competenze statali e nuove competenze regionali discendenti dall’attuazione della riforma costituzionale del titolo V (legge cost. n. 3/2001), voluta dal centro-sinistra ma poi gestita dal centro-destra.

Anche l’idea, potenzialmente rivoluzionaria, di due aree quadriennali di effettiva pari dignità e consistenza (quella liceale e quella tecnico-professionale con sbocco in una fascia di istruzione superiore non accademica), affacciatasi all’inizio della legislatura, fu vanificata dalla difesa a oltranza della quinquennalità del liceo classico e del radicamento statale degli istituti tecnici, oltre che della loro quinquennalità.

Assai meno innovativa si presentò, nel 2008, la politica scolastica del quarto governo Berlusconi (ministra Gelmini), fortemente condizionata dalla crisi economico-finanziaria esplosa quell’anno, ma che comunque prometteva una radicale semplificazione e razionalizzazione dell’offerta formativa, il ritorno ai voti numerici e il ripristino dell’ordine e della serietà degli studi per venire incontro – si sosteneva – alla domanda delle famiglie. Il tutto si risolse però, di fatto, in un indiscriminato taglio orizzontale delle risorse.

Bilancio di una vita: nella politica scolastica, come peraltro anche in altri campi, a partire da quello fiscale, Berlusconi e il berlusconismo – che non hanno mai sciolto il nodo del conflitto di interessi – hanno dimostrato di essere soprattutto poderose macchine del consenso, capaci di suscitare aspettative e di vincere le elezioni, ma non di governare con altrettanta efficacia.

C

Classi collaterali: (settembre). Grazie ai dossier di Tuttoscuola sui diplomifici, è stato possibile rendere noto a molti che una condizione che agevola l’aumento di iscritti nelle classi terminali degli istituti paritari di scuola secondaria di II grado è costituita dalle classi quinte “collaterali”. Le disposizioni ministeriali ne consentono una in più per ogni indirizzo di studio all’interno all’istituto, autorizzate dall’USR di competenza, ma la nostra indagine non solo ha rilevato per diversi istituti un abnorme aumento di studenti iscritti nel passaggio dal quarto al quinto anno proprio grazie alle classi collaterali, ma, in particolare, ha rilevato una quantità considerevole di classi collaterali oltre il numero consentito di una in più per ogni indirizzo di studio.

Nel sessennio 2015-16/2020-21 sono state attivate complessivamente 3.502 classi collaterali, di cui ben 1.880 nella sola regione Campania, luogo privilegiato dei diplomifici.

Ma di queste 3.502 classi collaterali funzionanti nell’arco del sessennio considerato, ben 1.725, quasi la metà, sono oltre il limite consentito di una sola classe collaterale per indirizzo, con eccedenze di più classi nel medesimo indirizzo di studio.

Sono diversi gli indirizzi di studio con una sola classe collaterale oltre il limite consentito; diversi indirizzi hanno avuto anche due o tre classi eccedenti, con casi limite di 6-7 classi collaterali in eccedenza in quasi tutti gli anni considerati in istituti paritari della provincia di Napoli o in quella di Salerno.

Ovviamente queste eccedenze di classi non vengono autorizzate dagli USR, ma, grazie a ricorsi al TAR (vincenti attraverso il cavallo di Troia degli “studenti lavoratori”, senza che senza che la controparte chieda di dimostrare tale condizione, si veda anche a riguardo la voce “Lavoratori”), quasi sempre gli istituti paritari “opachi” la fanno franca e riescono a portare all’esame di maturità e al diploma centinaia e centinaia di iscritti.

Cruscotto scioperi: (da gennaio a dicembre). Lo strumento di rilevazione degli scioperi nel pubblico impiego, attivato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, consente di rilevare anche per la scuola lo stillicidio continuo di micro-scioperi proclamati da micro-sindacati che, pur non avendo rappresentanza ufficiale significativa, riescono a creare disagi per famiglie e alunni, forti anche del fatto che l’art. 39 della Costituzione (Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica) non ha mai avuto applicazione.

sciopero del 10 febbraio proclamato da FISI: 1,12% di adesioni
sciopero del 24 e 25 febbraio proclamato da CSLE: 0,54% di adesioni
sciopero del 24 marzo proclamato da SAESE: 0,63% di adesioni
sciopero del 21 aprile proclamato da CUB: 0,97% di adesioni
sciopero del 5 maggio proclamato da COBAS: 0,91% di adesioni
sciopero del 5 maggio proclamato da SGB: 0,44% di adesioni
sciopero del 25 settembre proclamato da CSLE: 0,60% di adesioni
sciopero del 6 ottobre proclamato da SISA: 0,60% di adesioni
sciopero del 7 dicembre proclamato da COBAS: 1,04% di adesioni

In tutti i casi la percentuale di disagio per le famiglie, grazie anche al solo effetto annuncio e al “diritto” del personale di non rendere nota preventivamente l’eventuale adesione allo sciopero, è stata di gran lunga superiore (soprattutto nella scuola dell’infanzia e primaria) alla percentuale di adesione allo sciopero da parte di docenti e personale ATA. Questione denunciata da anni da Tuttoscuola, resta irrisolta.

 ChatGPT (gennaio-novembre) – Il 30 novembre 2023 ChatGPT ha compiuto il suo primo anno di vita, ma la crescita dell’interesse e del dibattito, sviluppatosi in tutto il mondo, attorno a questa applicazione conversazionale dell’Intelligenza Artificiale (IA) è stata così veloce e intensa da far paragonare questo anno (il 2022, anche se il boom di ChatGPT si è verificato nel 2023) ad altri che hanno segnato svolte epocali nella storia della comunicazione, come il 1455, anno di pubblicazione della prima Bibbia stampata ad opera di Johannes Gutenberg o il 1990, anno di nascita del WWW, la rete internet realizzata da Tim Berners-Lee.

Tuttoscuola ha immediatamente avvertito la rilevanza educativa di ChatGPT e degli altri modelli di LMM (Large Language Models), moltiplicatisi e diffusisi fulmineamente, cominciando a parlarne già nel gennaio 2023, e poi ripetutamente nel corso dell’anno evidenziando i pro e i contro – o meglio i vantaggi e i rischi – di queste innovazioni: i pro essendo costituiti dalle immense potenzialità fornite dall’IA per la personalizzazione della didattica (accanto ai chatbot i sistemi di sostegno interattivi e la valutazione individualizzata dell’apprendimento, la multimedialità, l’immersività e così via) e i contro consistendo, dal punto di vista educativo, nel rischio di una formazione ipertecnicizzata e massificata, poco attenta all’autonomia critica del soggetto che apprende, alla sua creatività e al pensiero divergente, tanto da far temere, come abbiamo scritto nei nostri commenti,  il tramonto del canone pedagogico occidentale, centrato sull’unicità e sulla libertà del soggetto che apprende e su una didattica finalizzata all’acquisizione di saperi complessi e “di lunga durata” (l’espressione è di Benedetto Vertecchi), che accompagnino gli individui nel corso della vita, senza cedimenti alla logica economicista e affaristica della “globalizzazione”, interessata invece all’acquisizione, da parte degli studenti, di specifiche competenze spendibili nel mercato del lavoro a breve termine.

D

Dimensionamento: (gennaio). Con l’entrata in vigore al 1° gennaio 2023 della legge di bilancio 2023-26 diventa definivo il ridimensionamento della rete scolastica che porterà gradualmente alla chiusura di circa 900 istituzioni scolastiche, mentre rimarranno funzionanti e confermati nell’attuale numero i 41.690 plessi, scuole e istituti. E si prospettano tempi duri per i dirigenti scolastici che dovranno gestire le istituzioni scolastiche sopravvissute al taglio. Un carico di responsabilità ignorato colpevolmente dai vertici politici ma che Tuttoscuola ha ricordato più volte.

Gli effetti della riorganizzazione della rete si stanno ora toccando con mano: “mega” istituti con anche 33 plessi disseminati su sette Comuni… Sembra impossibile? Chiedete al preside di un nuovo Istituto Comprensivo di Tropea

Diplomifici: (luglio-agosto). Tuttoscuola pubblica in breve successione e in esclusiva due dossier sui diplomifici: “Maturità: boom di diplomi facili” e “Il gran Bazar dei diplomifici” che suscitano un’eco profonda nell’opinione pubblica e inducono il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ad annunciare con immediatezza un piano di contrasto al deprecabile fenomeno.

Nel piano annunciato, il ministro individua tre linee di intervento nei confronti degli istituti paritari: controllo ispettivo, adozione di provvedimenti amministrativi e integrazione e modifica della normativa relativa alla parità.

Per diversi mesi non se ne sa più nulla. A dicembre scattano i controlli a tappeto.

Nel frattempo, i principali media nazionali, attingendo dai dati puntuali contenuti nei due dossier di Tuttoscuola, integrano la denuncia del malaffare con interviste e verifiche dirette sul territorio.

Il mondo dei diplomifici era noto da anni, senza che il ministero dell’istruzione e lo stesso Parlamento avessero messo in atto azioni di prevenzione e contrasto.

Nel 2015 la legge della Buona Scuola aveva previsto un’azione di controllo nei confronti di istituti paritari della secondaria di II grado che nel passaggio dal quarto al quinto anno registravano un aumento eccessivo e anomalo di studenti iscritti. Le ispezioni ministeriali non avevano però prodotto cambiamenti significativi.

Tuttoscuola, utilizzando i dati ufficiali pubblicati dallo stesso ministero ha rilevato che l’incremento anomalo di iscritti nel passaggio dal quarto al quinto non solo si era fermato a seguito delle ispezioni, ma, al contrario dal 2015-16 al 2022-23 era andato continuamente aumentando con un incremento complessivo nel settennio di 166.314 iscritti, pari a + 132%.

Ma in Campania, la regione più chiacchierata per il numero di istituti sospetti, l’incremento complessivo di iscritti nel passaggio dal quarto al quinto anno è stata d 104.727 unità, pari ad un aumento del 691%.

Sulla base di quei primi dati, Tuttoscuola ha approfondito le situazioni sospette, mettendo in evidenza le procedure utilizzate per portare al diploma facile migliaia di studenti provenienti da tutte le parti d’Italia. Il vaso di Pandora aperto dai dossier ha indotto il ministro a varare finalmente a dicembre il piano già annunciato di contrasto ai diplomifici con indicazioni più precise.

Si attendono ora i risultati concreti del piano, mentre gli istituti paritari opachi (una piccola minoranza che ha sempre danneggiato la reputazione del mondo della scuola paritaria) non staranno certamente ad attendere inerti, perché il business è troppo ghiotto.   

E

Educare alle relazioni: (settembre-novembre). Il tormentone del progetto voluto dal ministro Valditara a settembre, all’indomani dei gravi fatti di Caivano, ha registrato un nuovo capitolo, con un dietro-front inaspettato.

Il ministro aveva smentito seccamente la notizia dell’incarico al politologo Alessandro Amadori, dopo che sul web erano circolate critiche a un libro dell’esperto voluto dallo stesso ministro per la comunicazione.

In attesa del progetto vero e proprio (la cui bozza ufficiosa non è stata resa nota), sul sito del MIM erano stati pubblicati il 24 novembre la direttiva e il protocollo.

Alcuni giorni dopo, nel corso dell’audizione nella Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, il ministro Valditara aveva annunciato di aver affidato il coordinamento del progetto scolastico “Educare alle relazioni” ad Anna Paola Concia, ex deputata Pd, attivista per i diritti Lgbtqi e responsabile da anni di Didacta, la fiera annuale della scuola. E aveva aggiunto che del comitato di coordinamento facevano parte anche suor Monia Alfieri, rappresentante del Consiglio nazionale della scuola della Cei, e Paola Zerman, avvocata dello Stato già candidata alle ultime elezioni politiche nel Partito della Famiglia di Mario Adinolfi.

Il nome della Concia ha fatto infuriare il centro-destra, compreso il partito, la Lega, di cui il ministro fa parte.

“Troppe polemiche. La scuola ha bisogno di serenità. Meglio fermarsi qui”, ha dichiarato il ministro.

Valditara ha fatto un passo indietro e ha rinunciato alla collaborazione di Anna Paola Concia, di suor Anna Monia Alfieri e dell’ex candidata del Popolo della famiglia Paola Zerman, ovvero la terna di garanti della commissione incaricata di formulare progetti per «l’educazione alle relazioni nella scuola».

Un coraggio, il suo, mal ripagato.

F

Formazione intensiva: (giugno). Il decreto ministeriale 107 che regolamenta il prossimo concorso riservato per dirigenti scolastici, in attuazione di una specifica disposizione contenuta nel decreto-legge Milleproroghe (convertito dalla legge 14/23), prevede, per i candidati che superano la prova scritta o la prova orale con un punteggio di almeno 6/10, la frequenza di un corso intensivo di formazione dirigenziale della durata di 120 ore complessive con obbligo di frequenza di almeno 90 ore (possibili anche a distanza). La prova finale, al termine del corso di formazione si svolge dinanzi ad una Commissione composta da docenti del corso frequentato dal candidato e consiste in una relazione scritta sulle attività formative svolte e in un elaborato di carattere teorico-pratico sulle materie oggetto dei moduli formativi. Non è prevista nessuna valutazione finale. I candidati, che per la partecipazione al concorso riservato devono preventivamente versare 350 euro, se ammessi al corso di formazione devono versare, sempre preventivamente, 1.500 euro a rimborso delle spese che l’Amministrazione deve sostenere per l’organizzazione dei corsi. Le quote non sono rimborsabili se il candidato non frequenta il corso di formazione. Poiché il versamento della quota dovrà coprire l’intero costo che l’Amministrazione dovrà sostenere per l’organizzazione dei corsi, i candidati potrebbero essere obbligati ad integrare la quota di 1.500 euro già versata. Complessivamente, tra quota di iscrizione al concorso e quota per l’ammissione al corso di formazione, con possibile appendice integrativa, i candidati potrebbero trovarsi a pagare circa 2mila euro.

Ma il costo salato per questa formazione vale la candela, perché assicura quasi certamente, e forse senza troppe difficoltà, un posto di dirigente che fino un paio d’anni fa sembrava impossibile da conseguire.

Morale? Se ad orientare l’azione del sistema di istruzione fosse la missione di rendere il miglior servizio possibile agli studenti, forse le cose andrebbero in un certo modo; se invece prevalgono gli interessi di categorie o di gruppi di persone (si legga anche “elettori”), allora tutto si spiega. Ma non ci si lamenti se i risultati finali prodotti da quel sistema sono (come purtroppo sono) deludenti.

G

Giulia (novembre) – La morte assurda della giovane studentessa Giulia Cecchettin, 22 anni, uccisa dal suo coetaneo ex fidanzato alla vigilia della sua laurea, ennesima storia di femminicidio, suscita un’immensa ondata di commozione, certamente più forte che in tante altre analoghe occasioni, in particolare tra gli studenti. Tanto forte da rendere plausibile una svolta politico-culturale su come affrontare questo problema, un cui segnale sarebbe l’auspicata da molti collaborazione del capo del governo Meloni e di quello dell’opposizione Schlein – due donne – nella definizione di una strategia condivisa.

In questo quadro l’intensità del minuto di silenzio (e dell’equivalente rumore, sollecitato da Elena, sorella di Giulia) che tutte le scuole italiane hanno osservato nella giornata di martedì 21 novembre in memoria e in onore di Giulia, opportunamente deciso dal ministro Valditara, va interpretato come un segnale di questa possibile strategia condivisa perché è stato capace di incidere sulla sensibilità e sulla memoria di un’intera generazione di studenti assai più che una lezione ex cathedra di educazione civica. Un minuto per non dimenticare.

L’ipotesi circolante di incontri extracurricolari (30 nell’anno scolastico) degli studenti con esperti e psicologi, e quella di istituire nelle scuole appositi servizi di assistenza psicologica per studenti (e docenti, auspicabilmente) vanno in questa direzione. C’è chi non è d’accordo con il carattere extracurricolare di questi interventi, ma la strada giusta non è certo quella di assegnare sic et simpliciter anche questo compito alla già sovraccarica ora di educazione civica.

H

Humanities (Nussbaum): (gennaio-dicembre) – Nel dibattito internazionale sul futuro dell’educazione prende forza la prospettiva della personalizzazione dei percorsi formativi, che secondo molti studiosi ed esperti anche non accademici è destinata a prendere il posto del sistema di curricula standardizzati e gerarchizzati che ha caratterizzato l’offerta scolastica in Europa e poi nel mondo negli ultimi tre secoli. Un ristretto core curriculum di competenze di base (lingua materna-matematica-scienze-tecnologia), funzionale all’apprendimento di qualunque altra conoscenza in ambito tecnico-scientifico o umanistico, consentirà a ciascuno di costruire il proprio percorso formativo sulla base di interessi, propensioni, attitudini liberamente scelte. Potranno essere previste forme di assistenza da parte non più di docenti (figure centrali nell’insegnamento ex cathedra del passato) ma di tutor che accompagneranno gli studenti nel loro percorso di apprendimento.

In questa prospettiva, rispetto alle competenze di base, prenderanno sempre maggiore consistenza quelle personali, che secondo Amartya Sen e Martha Nussbaum valorizzano assai di più le potenzialità educative di tutti nel rispetto delle differenze individuali e delle regole di libertà delle società aperte. Secondo questi autori alla base dell’acquisizione delle competenze personali stanno insiemi di capacità e abilità, diversi da individuo a individuo, che essi chiamano “capacitazioni” (capabilities, sintesi di capacity e ability), che possono trovare spazio e possibilità di espressione – sostiene in particolare la Nussbaum – nel campo degli studi umanistici (“humanities”), più adatti delle “scienze dure” a comprendere e governare razionalmente le complessità del mondo contemporaneo. 

Nel quadro di una progressiva personalizzazione dei percorsi formativi la valutazione delle competenze secondo il modello OCSE-Invalsi continuerà ad avere un ruolo importante solo per quanto riguarda il core curriculum lingua materna-matematica-scienze, ma dovrà essere affiancata da metodologie valutative di tipo qualitativo, affidate soprattutto alla ricerca accademica, centrate sulle competenze personali intese come “capacitazioni”.

I

ITS Academy: (ottobre) – Un ampio e argomentato rapporto della Fondazione Giovanni Agnelli, intitolato “ITS Academy: una scommessa vincente?” fa il punto sull’esordio di quello che nelle intenzioni del legislatore (la legge n. 92 del 2022 è stata approvata con un voto quasi unanime del Parlamento) costituisce la via italiana verso la costruzione di un efficace sistema di istruzione terziaria professionalizzante, che in Italia manca a differenza che in altri Paesi europei come la Germania, la Francia, la Spagna e praticamente tutti i Paesi industrializzati. Un obiettivo strategico, e per questo inserito con adeguato finanziamento nel PNRR.

Il rapporto della FGA, curato da Matteo Turri, docente al Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi di Milano, e Andrea Gavosto, direttore della Fondazione, analizza la formazione terziaria professionalizzante negli altri tre principali paesi UE (Francia, Germania e Spagna) e in Svizzera.

Dal confronto europeo e dagli studi di caso di nove ITS in Italia, diversi per caratteristiche e area geografica, emergono le principali caratteristiche e criticità attuali del sistema degli ITS Academy, i rischi da evitare e alcune indicazioni di policy per rafforzarle nei numeri, nell’articolazione, nella diffusione e nell’efficacia. Quanto ai numeri la ricerca evidenzia che ogni ITS ha in media solo 180 studenti, con un forte divario territoriale: 230 studenti al Nord, 170 al Centro e 125 nel Mezzogiorno. Le limitate dimensioni sono oggi probabilmente il principale freno a uno sviluppo degli ITS in termini di rilevanza, attenzione, finanziamento e conoscenza da parte delle scuole, delle università, degli studenti potenziali utenti e dei datori di lavoro. Manca inoltre un forte piano di comunicazione sui canali generalisti e su quelli specializzati: la gran parte dell’opinione pubblica semplicemente non conosce (o sottovaluta proprio per mancanza di una vera comprensione) questa opzione.

La legge 99/2022 e le risorse del PNRR (1,5 mld) mirano a irrobustire il sistema, ma la disponibilità concentrata nel tempo di tante risorse potrebbe, tuttavia, non eliminare le cause dell’attuale gracilità degli ITS, con il rischio che dopo il piano straordinario di investimenti il volume di risorse statali ordinarie possa ritornare ai modesti livelli pre-pandemia, circa 50 milioni l’anno. Si rileva inoltre una forte eterogeneità nei profili in uscita e, di conseguenza, nell’articolazione delle attività formative. Un altro ostacolo che limita lo sviluppo degli ITS Academy è la tendenza all’isolamento, che si esprime attraverso la mancata sinergia con l’istruzione secondaria di II grado e l’istruzione terziaria universitaria. Il modesto coinvolgimento della prima danneggia soprattutto i meccanismi di orientamento alla formazione terziaria professionalizzante. Permane infine una forte diffidenza tra i due binari dell’istruzione terziaria: da un lato, le università sono poco interessate a rafforzare il carattere professionalizzante della propria offerta e dall’altro gli ITS Academy sembrano rivendicare una vocazione tutta professionalizzante, estranea a ogni dimensione di apprendimento di conoscenze teoriche. Un adeguato sviluppo degli ITS Academy è comunque un obiettivo di primaria importanza e un’opportunità che il sistema Italia deve saper cogliere.

 IA Intelligenza Artificiale: (maggio) – La classica dicotomia tra apocalittici e integrati – proposta da Umberto Eco nel suo libro del 1964 per definire le due contrapposte categorie dei tradizionalisti (le élites culturali inorridite dalla montante cultura di massa, percepita come apocalisse) e dei rinnovatori (favorevoli ai nuovi strumenti della cultura di massa, dalla TV ai fumetti al cinema alla musica e ai romanzi popolari, e perciò “integrati” in essa) –  è stata utilizzata più volte per illustrare gli opposti punti di vista dei pessimisti, terrorizzati dalle novità (tecnologiche, economiche, politiche, della moda…) e degli ottimisti che invece puntano a cavalcarle a ogni costo e rischio.

Fino all’anno scorso fa prevalevano, tutto sommato, l’interesse e la curiosità per i vantaggi portati dall’IA in vari campi, dalla robotica alla medicina fino alle automobili a guida autonoma. Poi, con l’esplosione del fenomeno ChatGPT (lanciato il 30 novembre 2022), sono cresciuti anche i dubbi e le preoccupazioni per la governabilità di tipi di intelligenza artificiale come quelle generative che potrebbero a un certo punto sfuggire al controllo dei loro creatori o essere utilizzate da grandi poteri economici o politici per raggiungere obiettivi eticamente inammissibili (almeno per i parametri delle democrazie liberali) sul piano della manipolazione della libertà di scelta dei cittadini consumatori o su quello delle libertà politiche.

Di queste preoccupazioni si fa interprete perfino l’ideatore di ChatGPT, Sam Altman,  che dice ora che “l’intelligenza artificiale è qualcosa di potenzialmente molto buono e al tempo stesso potenzialmente molto terribile”, mentre quello che è considerato il padre nobile dell’IA in quanto inventore delle reti neurali, Geoffrey Hinton, dimessosi da Google per potersi esprimere più liberamente, definisce “spaventosa” la prospettiva che l’uomo perda il controllo delle macchine pensanti che ha creato, ma che questo potrebbe avvenire perché “questi modelli sono in grado di scrivere da soli dei programmi” e “anche se fissassimo delle regole, questi sistemi potrebbero impararle e superarle. Queste intelligenze artificiali non hanno degli obiettivi di evoluzione prestabiliti, ma prima o poi li potranno creare, se perdiamo il controllo”.

In questa fase, insomma, sembrano prevalere le ombre degli apocalittici che però storicamente, almeno finora, non hanno mai potuto bloccare lo sviluppo delle scienze e delle nuove tecnologie. Servirebbero forme di controllo e regolamentazione a livello planetario, ma per ora si è mossa solo l’Unione Europea che ha varato un Regolamento (Artificial Intelligence Act) contenente alcune norme a difesa della privacy individuale e per prevenire l’impiego strumentale dell’IA da parte di governi e multinazionali interessati a manipolare i comportamenti e l’opinione dei cittadini. Ma il Regolamento sarà operativo solo a partire dal 2026, e nel frattempo la tecnologia digitale corre…

L

Lavoratori (studenti): (giugno). Decine di sentenze del TAR Lazio e del TAR Campania hanno salvato migliaia di studenti di istituti paritari opachi, facendoli passare per studenti lavoratori, un riuscito escamotage che è diventato una costante giurisprudenziale consolidata.

In sostanza, l’asserita mancanza in loco di corsi serali – le strutture scolastiche statali di secondaria di II grado deputate all’istruzione di adulti – giustificherebbe l’iscrizione di sedicenti studenti lavoratori in scuole ospitanti disponibili, come, appunto, potrebbero essere taluni istituti paritari sospetti.

La ciliegina sulla torta delle sentenze dei TAR pro-studenti lavoratori è stata messa da una sentenza del Consiglio di Stato che ha considerato gli studenti lavoratori accolti negli istituti paritari meritevoli di un trattamento particolare non contemplato dalla legge 62/2000 sulla parità scolastica.

Non risulta che l’Avvocatura generale dello Stato chieda alle scuole ricorrenti di dimostrare la condizione di studenti lavoratori (basterebbe un certificato dell’Inps), e questo è molto strano.

Ma poi, davvero non ci sono corsi serali che avrebbero potuto accogliere quegli studenti lavoratori?

Un’adeguata ricerca sui corsi serali statali funzionanti in Italia ha dato questo risultato che serve anche come prima risposta: ce ne sono in tutta Italia 1.194. Sono quindi numerosi e presenti in tutta Italia e in ogni provincia, con la sola esclusione di Sondrio e Isernia.

Sembra, pertanto, poco credibile la tesi sostenuta nei ricorsi presso i TAR (e uscita vincente nelle sentenze emesse circa l’asserita mancanza di offerta di un servizio specifico), secondo cui per i presunti studenti lavoratori mancano i corsi serali. Che li costringerebbe a cercare una sede che li possa accogliere a centinaia di chilometri da casa.

In Campania, la regione che ospita il maggior numero di istituti paritari sospetti, di corsi serali ce ne sono 149; in Sicilia, altra regione aperta agli istituti paritari opachi, i corsi serali sono 152.

Resta, comunque, un interrogativo per i cosiddetti studenti lavoratori iscritti in quegli istituti paritari: se lavorano (e dove) come possono frequentare le lezioni di giorno?

M

Milani: (maggio) – Il centenario della nascita di don Lorenzo Milani dà luogo a un vasto dibattito che affianca alcune analisi critiche sulla sua visione della scuola e del ruolo degli insegnanti (tesi riprese in particolare dallo storico Ernesto Galli della Loggia in un editoriale apparso sul Corriere della Sera) alle numerose testimonianze di adesione e fedeltà alle sue idee come quella espressa da un altro importante storico, Alberto Melloni (“Tutto di lui resta integro”).

A distanza di 100 anni dalla sua nascita, e di quasi 50 dalla sua prematura scomparsa, avvenuta nello stesso anno dalla pubblicazione della Lettera a una professoressa (1967), la figura del priore di Barbiana è tuttora al centro di confronti non privi di tensione, anche emotiva, tra chi lo considera il profeta di una scuola pienamente democratica e inclusiva e il punto di riferimento, vitale e attuale, di una battaglia tuttora aperta per la sua realizzazione, e chi ne fa invece uno dei maggiori responsabili dell’abbassamento del livello qualitativo della scuola italiana, diventata progressivamente sempre meno selettiva – ma anche sempre meno formativa – per una malintesa interpretazione in senso buonista e minimalista del messaggio di don Milani, che con i suoi allievi era, al contrario, severissimo ed esigentissimo.

Forse hanno qualche ragione coloro che, collocandone l’esperienza culturale e pastorale nell’ambito del cattolicesimo radicale e militante del dopoguerra (quello stesso di Dossetti e La Pira) hanno visto in don Milani non tanto un propugnatore della riforma democratica della scuola, ma piuttosto un radicale contestatore e disvelatore della natura classista della scuola liberal-borghese, vissuta come un insulto non tanto alla Costituzione quanto all’idea di uguaglianza annunciata dal Vangelo.

Insomma, non un riformatore (nel mirino della sua Lettera, che è del 1967, sta una riforma democratica come quella della scuola media unica, avviata nel 1963, che pure aveva soppresso i corsi di avviamento al lavoro), ma un rivoluzionario testimone dello scandalo di una scuola lontana dal messaggio ugualitario di Cristo. Ma nello stesso tempo anche il seminatore di un’idea di scuola che esercita tuttora il suo fascino nelle scelte professionali e valoriali di molti insegnanti impegnati nella ricerca di un modello educativo più giusto.

N

Negri Toni: (dicembre) – Antonio Negri (Toni per amici e nemici), 90 anni, muore a Parigi, città dove è vissuto a lungo come rifugiato politico dopo la condanna a 12 anni (poi in parte scontati al suo rientro in Italia) irrogatagli per vari reati collegati ad attività terroristiche. Filosofo, studioso di Hegel, giovanissimo docente ordinario di “Filosofia della Politica” a Padova dal 1967, è stato il teorico e il fondatore del movimento Potere Operaio, cui si ispirarono altre organizzazioni antagoniste degli anni Sessanta e Settanta come “Avanguardia Operaia” e “Lotta Continua”, che ebbero un certo seguito nella scuola tra gli studenti e gli insegnanti sindacalizzati.

Per questo è stato considerato dai suoi seguaci ed estimatori storici (come Oreste Scalzone e Franco Piperno) e anche da “antagonisti” più giovani come Luca Casarini, come un “Maestro”: secondo loro un buon Maestro animato da spirito rivoluzionario, in totale opposizione a quelli che lo hanno giudicato invece un “cattivo Maestro”, responsabile morale delle azioni terroristiche che hanno provocato tante vittime negli “anni di piombo”.

Di formazione cattolica come Dossetti, La Pira e don Milani, Toni Negri ha trasferito l’intransigenza morale, che lo accomunava a queste altre figure, sul terreno politico, teorizzando con utopie palingenetiche la necessità di un rovesciamento radicale dei rapporti di forza tra le classi dirigenti (costituitesi nel nuovo “Impero” che a livello mondiale governa la “globalizzazione”) e i popoli del mondo destinati a ribellarsi a questo dominio. Gli esiti catastrofici e sanguinari di chi ha seguito il suo pensiero parlano chiaro.

O

Orientamento (tutor): (maggio – settembre). Parte nell’incertezza e con una certa diffidenza e ostilità dei sindacati di base il progetto ministeriale (Decreto n. 63 del 5 aprile 2023) per formare docenti della secondaria di II grado disposti a svolgere le funzioni di tutor e orientatore previste da una delle disposizioni attuative del PNRR relative all’orientamento.

Tuttoscuola aveva tempestivamente rilevato, già all’inizio di maggio ‘23, le difficoltà che il provvedimento poteva incontrare nelle scuole, esprimendo dubbi sull’efficacia degli incentivi con i quali il Ministero cercava di incoraggiare le domande. Ora, da varie scuole giungono notizie di forti resistenze, che in alcuni casi hanno preso la forma di ordini del giorno di rifiuto di presentare la domanda da parte dei Collegi dei docenti, in cui si fa riferimento al carattere “offensivo” del previsto corso di formazione online di 20 ore anche alla “miseria” dei compensi aggiuntivi previsti.

Le ragioni delle resistenze sono di varia natura: economiche, professionali (no al coach), didattiche (si perde tempo), di principio. Un mix che, sommando le diverse motivazioni, rischia di bloccare l’attuazione pratica del Decreto, almeno in un certo numero di istituti.

Ma, contrariamente ad ogni previsione, le adesioni volontarie per candidarsi alle funzioni di orientatore e di tutor risultano oltre il limite atteso, tanto che a settembre, con una nota, il MIM comunica che l’attività di formazione curata da INDIRE propedeutica all’esercizio delle funzioni di docente tutor e orientatore nel secondo biennio e ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado ha registrato la massiccia partecipazione degli oltre 54 mila docenti iscritti e attivi nella piattaforma di fruizione della formazione, i quali hanno concluso positivamente il percorso formativo e la verifica di fine corso.  

I dirigenti scolastici/coordinatori delle attività educative e didattiche possono quindi procedere, come indicato nella nota n. 958 del 5 aprile 2023, alla nomina dei docenti tutor (con contestuale assegnazione dei raggruppamenti degli studenti individuati a livello di singola scuola) e del docente orientatore per l’anno scolastico 2023/2024. Solo con il tempo si capirà se la cosa funzionerà.

P

Paritarie: (maggio). Scuole paritarie: già chiuse in un decennio 1.306 scuole dell’infanzia e 139 primarie. Tra cinque anni altre 530. Il sistema paritario, anche in riferimento alle scuole dell’infanzia e alle scuole primarie, merita una diversa considerazione rispetto al sistema statale; considerazione che va oltre il coinvolgimento del calo demografico.

Certamente il calo demografico ha lasciato il segno anche in questo settore che nel corso del decennio considerato ha registrato 1.445 chiusure (1.306 infanzia e 139 primaria).

In questi casi, però, pur tenendo conto del dato oggettivo del numero di scuole chiuse (sia di scuola dell’infanzia che di scuola primaria) la causa non è tutta da ascrivere al calo di iscritti.

In questo settore del sistema pubblico integrato pesano notevolmente i costi di gestione, tanto che, nonostante i contributi statali (sui quali peraltro grava sempre l’incertezza sul quanto e sul quando), i gestori sono costretti ad aumentare le rette di iscrizione e di frequenza, determinando, in tal modo, anche l’effetto di dirottare l’iscrizione verso le scuole statali, il cui accesso non comporta oneri rilevanti.

Nel sistema paritario le scuole dell’infanzia, con il 60%, rappresentano il settore maggioritario tra tutti quelli organizzati dai gestori pubblici e privati.

Delle 9.610 scuole attive nel 2013-14, 108 risultavano già chiuse l’anno dopo.

La chiusura di scuole è continuata ininterrottamente e in misura consistente per l’intero decennio, cumulando alla fine, a livello nazionale, una chiusura complessiva di ben 1.306 scuole paritarie dell’infanzia. 

Diversa è risultata invece la situazione delle scuole primarie, sia per la ridotta presenza di questo settore paritario sul territorio, sia per il maggior numero di classi che compongono un corso. Complessivamente nel decennio sono state chiuse 139 scuole primarie.

Se non interverranno cospicue risorse finanziarie per ridurre drasticamente i costi di gestione (Tuttoscuola con i dossier sui diplomifici ha dimostrato con l’evidenza dei dati – come mai nessuno ha fatto – che poche mele marce non possono ledere la reputazione di un grande mondo che non ha nulla a che vedere con il “diploma facile”, e che svolge un servizio pubblico essenziale che va quindi sostenuto nell’interesse della collettività) mentre il calo demografico continuerà a ridurre il numero di iscritti, tra cinque anni potrebbero chiudere altre 530.

Pisa 22: (dicembre) – L’ottava edizione del programma PISA, realizzato dall’OCSE a partire dal 2000 con cadenza triennale (ma questa volta in ritardo di un anno a causa del Covid), evidenzia un vistoso calo delle prestazioni in tutti i paesi partecipanti (81: i 38 membri dell’OCSE più altri 43). Rispetto al 2018, la prestazione media è diminuita di 10 punti in lettura e addirittura di circa 15 in matematica, con punte superiori a 25 punti in Paesi come Germania, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia e Polonia. In controtendenza Singapore e altri cinque sistemi educativi dell’Asia orientale (Macao e Hong Kong per la Cina, Taipei, Giappone e Corea), che hanno fatto meglio di tutti gli altri in matematica e scienze (insieme a Estonia e Canada) e anche in lettura (insieme a Irlanda).

Secondo Mathias Cormann, segretario generale dell’OCSE, e Andreas Schleicher, responsabile storico del settore Educazione e competenze, questo netto arretramento delle prestazioni è solo in parte addebitabile alla pandemia di COVID-19, perché il calo dei punteggi si era già evidenziato prima del 2018, e anche perché non è emersa una chiara differenza nelle prestazioni tra i sistemi educativi che hanno avuto chiusure scolastiche limitate e quelli che hanno avuto le chiusure più lunghe, come l’Italia.

Il punteggio ottenuto dagli studenti italiani, per quanto riguarda la matematica (471), è in linea con quello della media dei paesi dell’area OCSE (472); in lettura, invece, i nostri studenti hanno ottenuto un punteggio (482) superiore alla media OCSE (476), mentre in scienze, viceversa, il punteggio (477) è risultato inferiore alla media OCSE (485). Il punteggio medio italiano in matematica è risultato simile a quello di altri paesi come, ad esempio, Germania (475), Francia (474), Spagna (473), Ungheria (473), Portogallo (472).

Per lettura, gli studenti italiani hanno registrato un rendimento simile a Germania (480), Francia (474), Portogallo (477), Austria (480), ma anche a paesi nordici come Svezia (487) e Norvegia (477). In scienze, infine, i nostri studenti hanno conseguito un punteggio medio simile a Norvegia (478), Portogallo (484), Lituania (484), Croazia (483), Turchia (476) e Viet Nam (472).

In tutti e tre gli indicatori, nel complesso, i risultati ottenuti dagli studenti italiani si collocano vicino alla media OCSE: una mediocritas non tanto aurea perché la media italiana è la risultante della compresenza di risultati pessimi e ottimi, condizionati dallo status socio-economico delle famiglie, dal tipo di scuola frequentata e dalla collocazione territoriale degli istituti: forti (e storici) contrasti messi in luce dall’accurato rapporto nazionale dell’Invalsi.

Q

Quaranta % (Concorso straordinario DS): (febbraio) La Camera dei deputati approva in via definitiva il cosiddetto “decreto Milleproroghe” (DL 198/2022) che comprende un emendamento, presentato da parlamentari della Lega, relativo al salvataggio di candidati che, non avendo superato le prove dell’ultimo concorso per dirigenti scolastici, avevano impugnato l’esclusione, ma non avevano ottenuto ragione dai tribunali a cui avevano presentato ricorso contro la bocciatura.

L’emendamento prevede una prova d’appello per questi candidati recuperati, mediante un concorso straordinario semplificato e un corso formativo conclusivo, senza ulteriori verifiche di conoscenze e competenze acquisite.

A favore di questi candidati salvati dal “Milleproroghe” il prossimo concorso straordinario assicura il 40% dei posti che saranno messi in palio con il prossimo concorso per DS, di cui è già stato predisposto il regolamento da parte del precedente ministro dell’istruzione, prof. Patrizio Bianchi.

Al di là di qualsiasi considerazione nel merito di questa disposizione normativa che contrasta decisamente con la filosofia meritocratica sostenuta dal ministro Valditara (Lega), la disposizione induce un pericoloso principio per i futuri concorsi pubblici: i candidati bocciati faranno bene a impugnare la bocciatura, perché, prima o poi, qualche aiuto arriverà…

R

Ricolfi Luca: (settembre). Come spesso gli è accaduto, anche l’ultimo saggio di Luca Ricolfi, La rivoluzione del merito (Rizzoli editore), suscita polemiche perché anche in questo lavoro il sociologo torinese rilancia la tesi che il degrado qualitativo della nostra scuola, dovuto alle politiche egualitarie e iper-inclusive della sinistra politica e socio-pedagogica, abbia danneggiato soprattutto i figli dei ceti più poveri, ai quali è stata tolta l’opportunità di utilizzare il merito scolastico come arma per misurarsi e farsi valere nella competizione con i compagni di famiglia benestante.

Alla tesi di alcuni suoi critici che gli studenti considerati più bravi appartengano in realtà solo alle famiglie agiate, e che quindi valorizzare il merito equivarrebbe a rafforzare le disuguaglianze, Ricolfi replica sulla base di dati da lui raccolti (all’Università insegna “Analisi dei dati”), relativi agli esami di terza media. Non è affatto vero, sostiene, che i “bravi” siano concentrati nelle classi sociali elevate: “su 100 ragazzi di classe alta, 39 hanno voti sotto la media, e su 100 ragazzi di classe bassa, 36 hanno voti sopra la media”. L’origine sociale conta, “ma lascia ampi gradi di libertàle variabili idiosincratiche, come talento, impegno, fortuna, possono avere un ruolo cruciale, altrettanto se non più incisivo dell’origine sociale”.

Lo dimostra per esempio, almeno per quanto riguarda la variabile “impegno”, il fatto che – sempre con riferimento agli esami di terza media – le ragazze ottengano risultati migliori dei ragazzi in tutte le materie, compresa matematica. E siccome è dimostrato che non esistono apprezzabili differenze di abilità cognitive tra maschi e femmine, i migliori risultati delle ragazze si spiegano solo con il loro maggiore impegno, diligenza, serietà, perseveranza nello studio. E dunque è giusto che questo maggiore impegno sia premiato, soprattutto quando riguarda quei 36 tra studentesse e studenti di famiglie disagiate che ottengono risultati sopra la media.

Investire su di loro, i “capaci e meritevoli”, significa non solo compiere un atto di giustizia, restituendo alla scuola una effettiva funzione di ascensore sociale in favore dei più poveri, ma anche contribuire a un migliore funzionamento della società, che ha bisogno di persone di talento che facciano al meglio il loro lavoro. Ecco perché, secondo Ricolfi, vanno respinte le politiche (in auge tra gli intellettuali della sinistra radicale statunitense) che in omaggio a un astratto principio della massima uguaglianza tendono a riequilibrare ogni tipo di differenza (economica, sociale, perfino di doti naturali) negando valore al merito individuale.

La vera rivoluzione in Italia, conclude Ricolfi, sarebbe quella di attuare davvero quanto scritto nell’art. 34 della nostra Costituzione, che prevede che i “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Servirebbero però borse di studio adeguate e a sostegno di molti, non il poco o nulla attualmente assegnato a pochi. Il libro si chiude con una “modesta proposta”: un piano decennale che vada in questa direzione. Chissà se Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito, vorrà e potrà raccogliere la proposta di Ricolfi.

Rete scolastica: (settembre-novembre). Contro la riforma della rete scolastica prevista dalla legge di bilancio 2023, con la quale le regioni dovranno definire il ridimensionamento delle istituzioni scolastiche, insorgono quattro regioni governate da partiti della sinistra (Campania, Puglia, Toscana ed Emilia-Romagna).

In attesa della pronuncia definitiva da parte della Corte Costituzionale a cui quelle regioni si sono rivolte per presunto vizio di legittimità conseguente alle loro prerogative in materia, alcune regioni, a cominciare dalla Campania, impugnano i primi atti del ministro Valditara davanti al TAR.

Le prime pronunce dei giudici che sembrano a favore dei ricorrenti vengono impugnate davanti al Consiglio di Stato che le rigetta, dando ragione al Ministero.

Attesa da molti e, in particolare, dai dirigenti scolastici e dai Dsga, arriva finalmente il 22 novembre la decisione della Consulta, che è negativa: “la Corte costituzionale ha rigettato i ricorsi ritenendo che, pur realizzandosi una interferenza con la competenza regionale concorrente nella materia della istruzione, siano prevalenti le competenze statali riguardanti l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato – venendo in rilievo personale statale -, le norme generali sull’istruzione, il coordinamento della finanza pubblica. …la Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma solo nella parte in cui non prevede l’acquisizione di un parere da parte della Conferenza unificata”.

È la pietra tombale sul ridimensionamento. Prepariamoci a istituti anche con 30 sedi.

S

Scuole (statali) che scompaiono: (maggio). “Italian schools are vanishing like glaciers” (le scuole italiane stanno scomparendo come i ghiacciai). Così l’autorevole “The Guardian”, testata britannica diffusa in tutto il mondo vincitrice di numerosi premi Pulitzer, ha ripreso con evidenza l’inchiesta di Tuttoscuola sulle scuole chiuse, che non sono solo quelle paritarie: 450 scuole dell’infanzia statali chiuse nel decennio, 726 nella scuola primaria. Nel 2014-15, rispetto all’anno precedente, hanno chiuso 46 scuole statali dell’infanzia; nel 15-16 altre 40 scuole hanno cessato l’attività e un’altra quarantina ancora nel 16-17. L’emorragia non si è fermata mai, arrivando alla ragguardevole cifra di 450 scuole dell’infanzia che complessivamente nel decennio hanno chiuso per mancanza della materia prima, i bambini.

Al termine del decennio considerato nelle diciotto regioni italiane è stata registrata mediamente la chiusura di 25 scuole statali dell’infanzia, ma è una media che trae in inganno, perché il range è compreso tra le 88 scuole chiuse in Calabria e solo 3 scuole chiuse in Piemonte.

Oltre la metà delle scuole dell’infanzia chiuse nel decennio si trova nelle regioni del Sud (278 su 450); insieme alle Isole (85 scuole chiuse).

Il Mezzogiorno ha registrato, pertanto, l’80% delle 450 scuole chiuse.

Anche le scuole primarie stanno risentendo del calo demografico che, a cominciare dal 2014-15, ha già determinato le prime chiusure di scuole (63). Dopo queste prime chiusure, nei due anni successivi sono state toccate le punte massime di scuole chiuse (122 nel 2015-16 e 117 nel 2016-17).

Sono state soprattutto le scuole con pluriclassi, per loro natura funzionanti con un numero ridotto di alunni, ad essere chiuse per lo scarso numero di iscritti oppure perché le famiglie hanno cercato scuole con classi normali, dopo avere constatato il diradarsi di alunni nelle piccole classi.

Ma vi sono state anche scuole con tutte le cinque classi del corso intero che sono andate gradualmente ad esaurimento, non riuscendo a garantire il numero minimo di 15 alunni per classe (10 nelle zone montane), secondo quanto disposto dal DPR 81/2009.

Al termine del decennio le scuole primarie che hanno chiuso sono state complessivamente 726.

A differenza delle scuole statali dell’infanzia dove l’80% delle scuole chiuse si trova nelle regioni del Mezzogiorno, le scuole primarie chiuse si trovano distribuite in modo più equilibrato su tutto il territorio. Le regioni del Sud hanno chiuso complessivamente 307 scuole, pari ad oltre il 42% di tutte le 726 scuole chiuse, seguite dalle Isole con 127 scuole chiuse (17,5%).

Tra infanzia e primaria hanno chiuso nel decennio 1.176 scuole.

Nel prossimo quinquennio potrebbero chiudere 325 scuole primarie e 275 scuole dell’infanzia per un totale di 600 scuole, a cui, per la prima volta, andrebbero ad aggiungersi anche 70 scuole medie, raggiunte e investite dal calo demografico.

Sperimentazione 4+2 (dicembre) – In extremis, quasi alla Vigilia di Natale (il 21 dicembre) la Commissione VII del Senato approva il disegno di legge governativo che riforma l’istruzione tecnico-professionale con l’introduzione del nuovo modello 4+2. Il ddl sarà calendarizzato in aula a breve, subito dopo la Legge di bilancio, nell’intento di completare l’iter parlamentare del provvedimento in tempo utile per le iscrizioni del 2024-2025. Comunque, con il DM del 7 dicembre il Ministero ha dato avvio alla sperimentazione già a partire da settembre 2024, e dunque non c’è l’assoluta necessità che il ddl venga approvato in tempi rapidi.

Anzi, l’esito della sperimentazione consentirà di verificare in concreto la fattibilità della stessa legge che dipenderà 1) dalla risposta che le scuole e le famiglie daranno all’invito a sperimentare il 4+2; 2) dall’effettivo grado di libertà che gli istituti avranno nella gestione di un’offerta formativa sensibilmente diversa da quella tradizionale; 3) dalla qualità e quantità delle interazioni tra scuole e territori (reti istituzionali, tessuto imprenditoriale) nella costruzione di un’offerta formativa più professionalizzante e quindi più aperta all’alternanza studio-lavoro (PCTO); 4) dal grado di corrispondenza tra le competenze acquisite dagli studenti nel percorso scolastico e quelle più richieste dal mercato del lavoro;  5) dalla capacità/disponibilità dei docenti a curvare in senso più pratico e operativo l’insegnamento/apprendimento della loro disciplina; 6) dalla posizione che assumeranno i sindacati e le loro rappresentanze locali (RSU).

Comunque, il ministro Valditara, molto legato al progetto, che intende portare l’istruzione tecnica e professionale “in serie A”, ringrazia non solo le forze di maggioranza che hanno sostenuto il ddl, ma anche le Regioni “per l’importante lavoro che è stato fatto in questa tappa fondamentale dell’iter di approvazione del ddl” e “anche quelle forze di opposizione che hanno collaborato in modo costruttivo alla riforma”.

Soddisfatti si dichiarano anche Valentina Aprea, responsabile scuola di Forza Italia, e Mario Occhiuto, capogruppo di FI in Commissione Cultura al Senato, a giudizio dei quali “L’integrazione dei vari percorsi in un’unica filiera, attraverso la creazione di reti orizzontali e verticali e dei Campus territoriali, consentirà di offrire risposte concrete per ridurre l’attuale mismatch tra domanda e offerta di competenze professionali, richieste dal mondo del lavoro, e di contribuire al raggiungimento dei traguardi di livello europeo previsti dalle milestone e dai target del PNRR.”

T

Titoli stranieri: (ottobre). Specializzazione per il sostegno in Romania. Per il TAR non ha alcuna validità in Italia. La Sezione quarta bis del TAR Lazio, con sentenza 19084 del 17 ottobre 2023, pubblicata il 18 dicembre scorso, ha respinto il ricorso di una docente a cui il Ministero dell’Istruzione e del Merito aveva negato la validità del titolo di specializzazione per il sostegno conseguito in Romania.

La sentenza del TAR riconosce fondato il diniego ministeriale, aprendo per la prima volta una prospettiva di non validità dei titoli conseguiti all’estero per un loro utilizzo in Italia.

La sentenza potrebbe, pertanto, segnare una svolta significativa nella annosa questione dei titoli di sostegno conseguiti all’estero con una certa facilità.

Con provvedimento n. 261 del 24.02.2023 il Ministero dell’Istruzione e del Merito aveva respinto la richiesta presentata da una docente, ai sensi della direttiva 2005/36/CE come modificata dalla direttiva 2013/55/UE, per il riconoscimento del titolo di formazione sul sostegno conseguito in Romania presso l’Università “Dimitrie Cantemir” di Tirgu Mures in data 25 giugno2018.

Il Ministero aveva comparato il corso seguito in Romania e il percorso formativo previsto in Italia dal DM 30-9- 2011 per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, ravvisando incolmabili differenze tra i due percorsi, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.

Il MIM concludeva tale confronto, affermando che dalle “verifiche eseguite è emerso che le conoscenze complessivamente possedute dall’istante, risultanti dal complesso di diplomi e di attestazioni da esso posseduti, nonché dal complesso di esperienza professionale maturata sia in Italia che in Romania, non soddisfano, nemmeno parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento, in Italia, in qualità di insegnante specializzato sul SOSTEGNO”.

L’interessata aveva impugnato il diniego ministeriale con una serie di motivazioni, compresa la mancata attivazione delle eventuali misure compensative (partecipazione ad attività formative in Italia) che avrebbero consentito di perfezionare il riconoscimento del titolo conseguito all’estero.

Il TAR respingeva il ricorso, considerando il comportamento del Ministero conforme a quanto sentenziato dal Consiglio di Stato laddove aveva disposto che il Ministero stesso doveva “procedere ad «un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale», onde accertare se le stesse interessate abbiano o meno i requisiti per accedere alla “professione regolamentata” di insegnante”.

Il TAR ha, pertanto, riconosciuto che “Il Ministero è giunto alla decisione finale di negare il riconoscimento solo dopo aver effettuato la suddetta comparazione, all’esito della quale ha riscontrato incolmabili differenze sotto vari profili tra la formazione sul sostegno conseguita all’estero e quella prevista dalla normativa italiana per l’accesso all’insegnamento in qualità di insegnante specializzato sul sostegno”.

La camera di consiglio della Sezione quarta bis ha concluso rigettando il ricorso e confermando la piena legittimità della decisione ministeriale che, conformandosi alla disposizione del Consiglio di Stato, aveva comparato i due percorsi formativi negando validità in Italia a quello attivato in Romania per il conseguimento della specializzazione per il sostegno. Siamo forse di fronte a una svolta nel travagliato annoso problema del riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero?

U

Ultima generazione: (gennaio-dicembre) – Il corso dell’anno è punteggiato da una serie di iniziative di protesta non violenta, ma di forte impatto sociale e visibilità mediatica, promosse da “Ultima generazione”, la versione italiana di un movimento attivo in molti Paesi europei, che fa della battaglia contro il deterioramento del clima la ragione della propria azione. Il movimento, nato nel contesto del grande successo registrato nelle scuole dagli scioperi per il clima indetti da Greta Thunberg, si è reso responsabile dell’imbrattamento con vernice lavabile di celebri monumenti, quadri e edifici storici (come il Palazzo Vecchio di Firenze o la sede del Senato), e dell’interruzione del traffico su importanti strade di comunicazione come il Raccordo anulare di Roma e la via Salaria, sempre a Roma, determinando in questo secondo caso una reazione violenta da parte di automobilisti inferociti.

Ultima impresa, alla fine dell’anno, l’interruzione della Messa di Natale nella chiesa di S. Antonio a Padova da parte di due giovani attivisti (una, Federica, di 17 anni) che hanno letto davanti all’altare un messaggio contro il riscaldamento (ma anche contro la distruzione di Gaza) mentre i loro compagni esibivano un cartello con la scritta “Gesù nasce, il pianeta muore”.

La frequenza di queste azioni esemplari, e l’autolesionismo di alcune di esse, che finisce per produrre l’effetto contrario a quello desiderato, stanno tuttavia riducendo l’efficacia delle iniziative e soprattutto la loro ricaduta mediatica, che è l’obiettivo pressoché unico del movimento. Non risulta neppure che esso raccolga consensi significativi tra gli studenti.

V

Valditara (bilancio politico) – (gennaio – dicembre). Non era scontato che il passaggio della Destra di Giorgia Meloni dall’opposizione a responsabilità di governo avrebbe comportato un riassestamento della linea politica di quel partito con l’abbandono delle posizioni (le “bandierine”, le aveva chiamate Mario Draghi) più nazionaliste e antieuropee, ma è esattamente quello che è accaduto, tanto da indurre la Lega di Salvini (ma non quella di Giorgetti) a occupare lo spazio all’estrema destra lasciato libero da Fratelli d’Italia, per esempio in materia di emigrazione e di alleanze internazionali, come ha dimostrato platealmente la partecipazione di Marine Le Pen alla kermesse leghista di Pontida proprio negli stessi giorni in cui Giorgia Meloni consolidava il suo rapporto con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (settembre).

A questa ricerca di una ricollocazione più moderata e “centrista” della Destra-centro di governo ha offerto un significativo contributo il ministro del Mim Valditara, che pur essendo stato designato per l’incarico dalla Lega sembra sintonizzato più sul filone per così dire neoeuropeista (almeno in politica estera) della Meloni che su quello neonazionalista di Salvini. Di questo orientamento il ministro ha dato più di una prova, fin dal messaggio da lui inviato alle scuole il 9 novembre 2022 in occasione dell’anniversario dell’abbattimento del muro di Berlino, definito come una “festa della nostra liberaldemocrazia”, alla critica radicale del modello di scuola gentiliano: un modello gerarchico e selettivo al quale egli contrappone quello aperto e inclusivo della personalizzazione.

Naturalmente, occorrerà vedere se i programmi troveranno concreta attuazione. Per esempio, se si realizzerà davvero quella fondamentale valorizzazione della filiera tecnico-professionale, tanto da renderla competitiva con quella liceale, promessa nel disegno di legge varato dal governo; se decollerà davvero in modo significativo il “terziario professionalizzante” degli ITS Academy, aiutando l’Italia a innalzare la più che mediocre percentuale di laureati nella fascia 24-65 anni (20,3%), la più bassa in Europa (media: 34,3%) dopo la Romania (19,7%); in cosa consisterà esattamente la promessa “personalizzazione” dei curricula; se gli insegnanti saranno messi in condizione di reggere la sfida, se funzionerà la Scuola di Alta Formazione.

Certo, se gli ambiziosi obiettivi di Valditara cominciassero a concretizzarsi nel corso della legislatura, la politica scolastica di questo governo non potrebbe essere classificata come “di destra”. Caso mai di segno conservatore-riformista, un po’ come quella della destra moderata ma democratica degli USA, quella alla quale si ispirò la legge di Bush del 2001 NCLF (No Child Left Behind), non a caso poi ripresa in parte dalla sinistra moderata di Obama con la legge del 2015 ESSA (Every Student Succeeds Act). Lo sapremo, come si usa dire, solo vivendo. A partire dal 2024, anno di prova della fattibilità dei progetti di Valditara.

Valditara (bilancio amministrativo): (gennaio-dicembre). Un anno in chiaro-scuro quello del ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara. Molto più di altri ministri, è pronto a prendere posizione sui problemi che emergono dai fatti di cronaca. C’è chi lo critica per un eccesso di presenzialismo che lo porta a orientare l’agenda sui temi di volta in volta sotto i riflettori dei media, ma indubbiamente le sue prese di posizione servono a dimostrare che l’amministrazione non è indifferente a quanto succede sul territorio, anche se, poi, non è sempre facile passare dagli impegni proclamati alle decisioni operative.

Non brilla certo per il suo silenzio – proprio lui che vuole essere il ministro del merito – nei confronti dell’emendamento antimeritocratico della Lega per il decreto milleproroghe con cui vengono recuperati per un concorso straordinario i candidati bocciati all’ultimo concorso DS.

Difende con determinazione la riforma del dimensionamento della rete scolastica, soddisfatto per avere quasi azzerato le reggenze e avere evitato la chiusura di scuole e plessi, sottovalutando, però, il carico di responsabilità e di tenuta organizzativo-gestionale di molte istituzioni scolastiche sovradimensionate (che non hanno a supporto l’apparato amministrativo e organizzativo di un’Università) proprio a causa della riforma della rete.

Condivide la denuncia di Tuttoscuola contro i diplomifici e si impegna con decisione e coraggio a combattere questo annoso e indecoroso fenomeno in grande crescita; fa passare, tuttavia, mesi preziosi per presentare un piano dettagliato per contrastare il malaffare e chiude il 2023 senza avere ancora predisposto un ddl da presentare in Parlamento per modificare la normativa in materia, accontentandosi di avviare il piano ispettivo per controllare le possibili irregolarità degli istituti paritari sospetti, mentre è urgente una modifica normativa che eviti di ritardare di un altro anno l’azione di contrasto ai diplomifici.

Dopo i fatti di Caivano si impegna in un progetto per l’educazione alle relazioni, affronta le critiche che coinvolgono l’esperto e suo consulente Amadori, ma ha il coraggio di nominare un gruppo di esperti con presenze non gradite alla maggioranza di Governo, che però lo costringono ad annullare la decisione.
Indubbiamente in poco più di un anno è stato molto attivo, ponendo le basi per innovazioni che, se verranno implementate con successo e se verranno accolte e metabolizzate dal grande esercito degli operatori scolastici (non è facile coinvolgere e indirizzare un milione di persone e il composito schieramento di chi le rappresenta), potrebbero cambiare il volto del sistema formativo.

Voti & Giudizi: (maggio) – Esce in libreria l’atteso volume di Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre, intitolato La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto (Franco Angeli), che prende posizione sulla controversa questione dei voti numerici e fin dal titolo contrappone la valutazione “che educa”, che si avvale di giudizi formativi, a quella che “non educa”, sottoposta invece alla “tirannia del voto”.

Corsini sostiene, in linea con una scuola di pensiero che risale in Italia ad Aldo Visalberghi e negli USA a John Dewey, che la valutazione non va intesa come un fine (nel qual caso si traduce e si esaurisce nell’assegnazione di un voto) ma come un mezzo, uno strumento regolativo della relazione didattica, finalizzata alla crescita culturale e sociale dell’alunno, che è il vero obiettivo di un’educazione democratica e partecipativa.

La valutazione diventa educativa solo se si avvale di un complesso di riscontri descrittivi e significativi, utili deweynamente ai fini della formazione di liberi cittadini dotati di pensiero critico e di responsabilità sociale (tempestività, chiarezza e partecipazione, coerenza, orientamento verso il futuro).

Nel libro non mancano punte polemiche nei confronti di prove, come quelle dell’Invalsi, che pretendono di valutare “competenze” (che si esplicano in situazione e in contesti dinamici) attraverso test standardizzati decontestualizzati e inidonei a rilevare le componenti riflessive, metacognitive e sociali dell’esercizio concreto di tali competenze. Un po’ meglio funzionano a suo avviso le prove predisposte nelle indagini internazionali Ocse (Pisa) e IEA perché a differenza dell’Invalsi operano su campioni e si avvalgono di quesiti a risposta aperta e complessa, anche se anch’esse hanno il grave limite, secondo Corsini, di “trattare l’educazione alla stregua di variabile indipendente rispetto a fattori sociali ed economici” scaricando sui sistemi scolastici responsabilità di “iniquità che sono proprie del sistema sociale ed economico”.

Nel capitolo conclusivo del volume Corsini ribadisce che al voto non va riconosciuta alcuna valenza formativa perché “quel che veramente conta nella valutazione è la comunicazione di indicazioni di miglioramento”: è questo ciò che serve all’alunno per ottenere risultati migliori, e anche all’insegnante per diventare un insegnante migliore.  

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Zaia (dicembre) – Esplode nuovamente la polemica sulla celebrazione del Natale nelle scuole italiane dopo che alcune di esse hanno deciso di eliminare i riferimenti ai simboli della religione cattolica per non emarginare i bambini che professano altre fedi. In qualche caso però sono state prese decisioni quanto meno avventate, che hanno finito per offendere le famiglie cattoliche. È il caso di quella scuola in provincia di Padova dove nella canzone di Natale la parola “Gesù” è stata sostituita con “Cucù”.

La vicenda ha indotto Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, dove la tradizione cattolica è molto avvertita, a intervenire con una risoluta dichiarazione di principio: “L’avvenuta modifica in maniera artificiosa di una canzone di Natale nel nome di una teorica voglia di inclusione e rispetto è un grave errore: pensare di favorire l’accoglienza cancellando i riferimenti alla nostra religione, alla nostra identità, alla cultura che da secoli e secoli caratterizza il Veneto è un gesto che non possiamo accettare”.   

Poi però Zaia fa una precisazione importante, che sembra suggerire una linea adottabile anche a livello nazionale: “ricordiamo che non stiamo parlando di una preghiera, ma di una canzone. L’imposizione di una preghiera a bambini di altra fede potrebbe certamente essere subita come una forzatura. Ma questo è un testo musicale, con un profilo identitario. Incomprensibile, siamo in un Paese dove si difende giustamente qualsiasi prodotto artistico e intellettuale anche nei suoi contenuti più forti, ma in questo caso si permette di intervenire su una canzone modificandola e stravolgendola così, nel nome del ‘politically correct’: un’intera comunità si interroga sul perché di questa scelta. Ho l’impressione che si stia esagerando, e lo dice una persona che ha fatto della tolleranza una scelta di vita”.

Un suggerimento del leghista governatore Zaia al leghista ministro Valditara?

Tuttoscuola augura un buon anno!

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