Una volta il futuro era migliore

Lo sostiene Sabino Cassese, classe 1935, in un opuscolo pubblicato agli inizi del 2021 dalle edizioni Solferino (Corriere della Sera). Non c’è punto interrogativo. Ma perché il futuro era (o appariva) davvero migliore? E perché quello dei giovani di oggi è (o viene percepito), come peggiore di quello degli adolescenti affacciatisi alla vita pubblica tra le macerie morali e materiali della seconda guerra mondiale?

L’illustre giurista, già ministro della Funzione pubblica nel governo Ciampi e giudice della Corte costituzionale, offre ai giovani di oggi un bilancio delle luci e delle ombre che hanno caratterizzato il dopoguerra degli italiani. Tra le luci ci sono i 75 anni di pace, la conquista del benessere, l’iperbolica crescita delle nuove tecnologie. Tra le ombre la perdita di velocità del nostro Paese, soprattutto negli ultimi 25 anni, nello sviluppo economico, nella scolarizzazione (siamo ormai agli ultimi posti in Europa), nei tassi di occupazione e anche nella qualità della vita civile, come mostrano le disavventure della politica, culminate negli anni recenti nel trionfo del populismo e dell’incompetenza. Ma prima ancora ferita dal terrorismo con l’assassinio di un uomo simbolo dell’Italia democratica. Tutti passaggi descritti da Cassese con brevi ma sempre nitidi e documentati flash.

Il futuro, negli anni della ricostruzione e di quello che venne presentato e percepito come il “miracolo italiano”, apparve ai giovani di allora, almeno fino alla fine degli anni Settanta, denso di promesse, e l’ottimismo aveva molte e solide motivazioni. Poi la crisi della politica, che il bipolarismo della Seconda Repubblica (1994-2011) ha nascosto ma non risolto. Poi il crollo finanziario del 2008 e il difficile secondo decennio del secolo, con l’austerity imposta dal governo Monti, il fallimento della riforma costituzionale voluta da Renzi, il continuo aumento del debito pubblico e la mancata soluzione di problemi strutturali come la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione.

Giustificato, in questo contesto, il pessimismo dei giovani di oggi, una generazione che a differenza di quelle che hanno vissuto nel secolo scorso sa di stare peggio, dal punto di vista economico e delle aspettative di vita, rispetto ai genitori e ai nonni.

Ci sono motivate speranze di uscire da questa impasse, resa ancora più drammatica dalla pandemia? Sì, risponde Cassese, si può invertire la rotta ma solo se vengono poste le premesse di un ragionevole ritorno dell’ottimismo. Tra queste, “Innanzi tutto, studiare”, investire (non “spendere”) in istruzione, ma in modo innovativo, “fuori dalle parrocchie dipartimentali”, sostiene citando lo storico della scienza Paolo Rossi, e ristabilire il primato della competenza anche nella scelta delle élites dirigenti. Altrimenti il futuro dei giovani resterà incerto e minaccioso.