Insegnanti & futuro/1. Il buco nero della formazione degli insegnanti

Tutte le ricerche e le indagini comparative internazionali convergono nello stabilire una correlazione diretta tra la qualità professionale degli insegnanti e la qualità dei risultati conseguiti dagli alunni e dai sistemi educativi nel loro insieme. Per questo il tema della formazione iniziale e delle modalità di accesso alla professione dei docenti dovrebbe ricevere un’attenzione prioritaria da parte dei decisori politici. “Dovrebbe” perché solo in alcuni Paesi questo avviene, in altri no. L’Italia fa parte di questo secondo gruppo – ovviamente ci riferiamo ai fatti e non alle parole – soprattutto per quanto riguarda gli insegnanti di scuola secondaria di primo e secondo grado e, almeno per le modalità di reclutamento, anche quelli di scuola primaria e dell’infanzia.

Delle ragioni che hanno portato all’attuale situazione e di cosa si dovrebbe fare per modificarla si è discusso in una tavola rotonda online, promossa congiuntamente dalla SICESE (Sezione Italiana della Comparative Education Society in Europe) e dalla FGA (Fondazione Giovanni Agnelli), che ha preso le mosse dal volume collettaneo Idee per la formazione degli insegnanti (Franco Angeli, 2020), curato da M. Baldacci, E. Nigris e M.G. Riva. Alla tavola rotonda hanno preso parte due dei coautori del volume, Carlo Cappa (presidente della SICESE) e Andrea Gavosto (direttore della FGA), e nel dibattito sono intervenuti, dopo i saluti di Giorgio Adamo, direttore del Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società dell’Università di Roma Tor Vergata, altri docenti di quest’ultimo ateneo (Donatella Palomba, Valentina D’Ascanio, Orazio Niceforo), Andrea Lombardinilo (Università di Chieti-Pescara) – tutti soci della SICESE – e inoltre Riccardo Scaglioni, presidente ANFIS (Associazioni Nazionale Formatori Insegnanti Supervisori) e Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl scuola.

Su due punti di diagnosi si è registrato l’accordo generale. Il primo: nella formazione iniziale dei docenti italiani di scuola secondaria è gravemente carente non la preparazione teorica ma quella applicata, in particolare il tirocinio in classe, a differenza di quanto accade per gli insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia. Il secondo, con la parziale eccezione della sindacalista Gissi: il reclutamento dei docenti (tutti, in questo caso) da decenni non considera prioritaria la dimensione professionale ma quella sociale: l’occupazione, conseguita per via legislativa o contrattuale, viene prima di tutto, la qualità della preparazione degli insegnanti viene dopo. E la formazione in servizio, obbligatoria in altri Paesi, mai (anche se la legge 107/2015, la ‘Buona Scuola’, ne aveva previsto l’obbligatorietà).

Se sulla diagnosi la consonanza è stata generale, sulla prognosi si sono ascoltati accenti diversi. Ne parliamo nelle notizie successive.