Rapporto Invalsi 2023/2. Ma le ‘competenze’ sono valutabili con i test?

Secondo certe sintesi giornalistiche, fondate su alcune letture semplificate (ma non forzate…) dei dati Invalsi, “la metà degli studenti italiani non capisce quello che legge” e “non raggiunge le competenze minime in matematica”, gli squilibri tra le regioni, le scuole e le classi sono rimasti invariati con poche eccezioni in negativo e in positivo. Tra queste ultime un lieve miglioramento per l’inglese (soprattutto ascolto), dovuto essenzialmente al fatto che gli studenti durante la pandemia sono stati più esposti alle nuove tecnologie con uso più frequente della lingua straniera.

Ma forse si può aggiungere che i giovani in questi anni hanno ormai una consolidata consuetudine con canzoni, video, pubblicità e quant’altro in inglese. Un apprendimento in gran parte extra scolastico, tra non formale e informale. Ma, allargando il discorso, quanto della cultura giovanile di oggi, quanto del linguaggio dei giovani, quanto delle loro “competenze” (intese come capacità di utilizzare conoscenze anche informali per risolvere problemi) passa attraverso i curricoli scolastici e quanto si deve invece a esperienze e stimolazioni esterne alla scuola? Possono davvero alcune batterie di test a risposta multipla su quesiti di italiano, matematica o inglese, per forza di cose decontestualizzati, dare un’idea attendibile di quali siano le “competenze” di un soggetto?

A metterlo in dubbio sono non pochi. Per esempio lo psicologo Matteo Lancini (si veda qui la recensione di un suo libro di estrema attualità), che alla domanda della giornalista Valentina Santarpia del Corriere della Sera “Andrebbe cambiato anche il sistema con cui valutare gli apprendimenti?” ha risposto così: “Già prima del Covid gli Invalsi avevano in parte perso di significato. Inserirei la valutazione del problem solving, dell’uso del digitale, di internet, dell’intelligenza artificiale”. 

Va oltre il pedagogista Cristiano Corsini, che nel suo recente saggio La valutazione che educa, – e in modo più icastico anche nel nostro webinar citato nella precedente notizia, nel corso del quale ha definito “una bufala” l’affermazione  che “la metà degli studenti italiani non capisce quello che legge” – riconosce ai test Invalsi un limitato valore diagnostico (per quanto riguarda il funzionamento del sistema) ma nessun valore sul piano valutativo perché le competenze di un soggetto possono essere valutate solo “in situazione”, nella loro dinamica, mentre le prove Invalsi sono standardizzate e si svolgono in un contesto statico, artificiale e rarefatto. Sono dunque a suo dire inutili, salvo che per ottenere alcune informazioni di base e di massima “sulla distribuzione di alcune conoscenze e alcune abilità?” (p. 89 del citato volume).

Ma a chi, dunque, compete la valutazione delle competenze, come la si può realizzare, e qual è il suo scopo? Domande importanti alle quali non si può dare al momento (né in Italia né altrove) una risposta certa e univoca. Salvo, forse (ma la questione è dibattuta), sul fatto che il ruolo degli insegnanti resta decisivo.

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