Rapporto Invalsi 2023/3. Oltre l’ossessione della performance

Tra gli studiosi di Educazione comparata, in particolare quelli che fanno capo all’Institute of Education dell’Università di Londra (University College London), sono molti quelli che criticano la pretesa del programma Ocse-PISA di valutare con metodologie standardizzate competenze individuali per definizione non standardizzabili e non misurabili come la creatività o il pensiero critico. Ma molti sono anche in Italia, all’interno della SICESE, l’associazione dei comparatisti italiani, coloro che prendono le distanze dai sistemi made in USA di misurazione quantitativa di performance standardizzate: in particolare da una “performatività” costitutivamente orientata a produrre classifiche sulla base di test sulle ‘competenze’ (in realtà prestazioni) relative ad alcune aree ritenute (soprattutto dagli economisti dell’istruzione) fondamentali per lo sviluppo economico delle società contemporanee.

D’altra parte, occorre tener presente che la svolta dell’Invalsi in questa direzione avvenne a partire dal 2007 (Ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, presidente del Consiglio l’economista Romano Prodi), quando alla guida dell’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema scolastico furono preposti due economisti di provenienza Bankitalia (prima Piero Cipollone, dal 2007 al 2011, poi Paolo Sestito, 2012-2013, nominato dal presidente del Consiglio Mario Monti, anch’egli economista) e alla responsabilità dell’area Prove lo statistico Roberto Ricci (dal 2012), che nel 2021 ne è diventato presidente subentrando alla psicopedagogista Anna Maria Ajello.

Quindi l’imprinting statistico-economico dell’Invalsi è nelle sue corde, anche se va sottolineato lo sforzo di Ricci di presentare i risultati delle prove come l’esito di “rilevazioni” di carattere sistematico, e non di operazioni di “valutazione” degli alunni, “compito che spetta esclusivamente agli insegnanti”.

Sono da segnalare inoltre i prodromi di un ulteriore ruolo assegnato all’Invalsi. Con la cosiddetta Agenda Sud lanciata dal Ministero dell’istruzione e del merito (che ricorda di aver investito da novembre 2022 ad oggi per le scuole del Mezzogiorno 2,5 miliardi di euro) viene richiesto all’Istituto presieduto da Ricci non solo di individuare le 150 scuole oggetto dell’intervento, ma pure di supportarle “anche con la formazione dei docenti sulla didattica orientativa, sulla progettazione didattica, sull’utilizzo dei dati per migliorare gli esiti degli apprendimenti”. Un indirizzo strategico aggiuntivo e la scoperta di una nuova “vocazione” per l’Invalsi.

I dati raccolti dall’Invalsi insomma forniscono al decisore politico informazioni di base sul funzionamento del sistema (esattamente come aveva auspicato Aldo Visalberghi negli anni Ottanta dello scorso secolo, al tempo della sua presidenza del CEDE, progenitore dell’Invalsi), ma spetta poi al decisore politico di utilizzarle (appare singolare che sia lo stesso Invalsi a bocciare la scuola italiana fissando esso stesso i livelli di accettabilità o meno dei risultati delle prove: perché tale soglia – come fa notare lo stesso Corsini – è stata fissata dall’Invalsi al livello 3, anziché al 2, come si è fatto in passato?), e di stabilire gli obiettivi formativi e le modalità della valutazione da parte degli insegnanti, curando la loro formazione.

Ma, pur in presenza dei dati Invalsi (e di quelli in parte convergenti delle indagini IEA e Ocse-PISA), i decisori politici degli ultimi 15 anni hanno in pratica deciso di non decidere. Certo, sono stati anni difficili, di elevata instabilità politica e governativa, contrassegnati dai tagli di Tremonti-Gelmini, dall’ostilità degli insegnanti alla riforma tecnocratica della Buona Scuola imposta da Matteo Renzi, e poi dalla straordinaria anomalia, per motivi diversi, dei due governi Conte e del governo Draghi nella scorsa legislatura. Nessuno di questi governi è stato in grado di intervenire in modo incisivo e innovativo né sugli ordinamenti (con la esigua eccezione del varo degli ITS Academy) né sulla formazione iniziale e in servizio dei docenti. Deciderà di farlo l’attuale governo? Vorrà e potrà farlo l’attuale ministro Valditara? Approfondiamo nella notizia successiva.

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