Prove Invalsi, quegli inspiegabili attacchi: gli squilibri territoriali

La promozione assicurata pressoché a tutti fino all’esame di terza media nasconde una realtà molto differenziata, che è all’origine dei forti tassi di ripetenza e abbandono che si verificano nel biennio iniziale della scuola secondaria superiore. Ma il Rapporto 2018 dell’Invalsi, che è soprattutto uno strumento messo a disposizione dei decisori politici, mette bene in luce il fatto che un intervento di riequilibrio e prevenzione della dispersione non sarebbe efficace se non partisse già dall’inizio della scuola elementare, se non prima: molti studiosi sostengono che a 6-7 anni i giochi sono in buona parte già fatti.

Negli anni le prove Invalsi hanno messo a disposizione dati omogenei per analisi di comparazione a livello nazionale, consentendo di mettere a fuoco meglio, con opportune basi statistiche, quello che tutti sappiamo: la grande disomogeneità dei livelli di istruzione sul territorio. Quello italiano è un sistema di istruzione che soffre di un deficit di qualità e di equità, perché studiare a Caltanissetta non offre purtroppo le stesse opportunità che a Trento. Nel quale esiste una forte disparità di valutazione: come spiegare altrimenti che a Milano solo un maturando su 381 è valutato meritevole di lode, e a Crotone uno ogni 35?

Come mai in Basilicata viene schierato un docente di sostegno ogni 1,5 studenti disabili e nel Lazio solo uno ogni 2,4 studenti disabili?

L’egualitarismo totale ha fallito, nella storia e anche nella scuola italiana.

Infatti non ha prodotto uguaglianza: la scuola italiana – con gli elevatissimi tassi di abbandono, con le drammatiche differenze sul territorio – è estremamente iniqua e non svolge, se non in minimi termini, il ruolo di ascensore sociale. Anche i test standardizzati dell’Invalsi hanno aiutato a comprendere ciò. In futuro forse se ne saprà di meno.