Next Generation EU: a quali condizioni potrà cambiare davvero la scuola italiana?

Non sarà un caso che in Italia molti preferiscano parlare di “Recovery Fund” (Fondo di recupero o risanamento) piuttosto che di “Next Generation EU” (L’Europa della prossima generazione): i media, e non solo loro, parlano soprattutto di come uscire dalla crisi economica e occupazionale di oggi, non di che cosa bisogna fare oggi per la nuova generazione, quella di domani.

Già Tuttoscuola ha osservato che dei 196 miliardi di euro previsti in sei anni, il Piano ne riserva direttamente all’istruzione solo 10,1, ossia il 5,15%: 1,7 miliardi di euro all’anno (il 2,8% dei circa 60 all’anno attualmente in bilancio). Non basterebbero neanche per finanziare la sola generalizzazione del tempo pieno nella scuola primaria, una riforma annunciata dal premier Conte. Altri fondi potrebbero arrivare dal capitolo sull’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici (anche scolastici), e da quello sugli asili nido. Ma non è solo una questione economica.

Molti autorevoli analisti della realtà socioeconomica del nostro Paese (da Ferruccio De Bortoli a Francesco Giavazzi, da Tito Boeri a Roberto Perotti e Andrea Gavosto) hanno lamentato la miopia di una classe politica incapace di guardare, anche in materia di istruzione, oltre l’orizzonte delle prossime elezioni. Far comprendere la portata strategica, la dimensione intergenerazionale e il carattere di investimento di lungo periodo dell’istruzione, che deve rappresentare un obiettivo strategico per il Paese (nei fatti e non solo a parole) è anche una delle ragioni costitutive di Tuttoscuola.

Fanno eccezione non tanto partiti quanto singoli parlamentari come la millennial Anna Ascani (viceministra PD al MI) e Valentina Aprea (FI) che in una recente intervista rilasciata al quotidiano online ladiscussione.com ha auspicato che “alle soglie del terzo decennio del terzo millennio, non si vadano a disperdere altre risorse economiche in un sistema ‘cotto’, di matrice novecentesca, basato solo sul sapere trasmissivo a due dimensioni, lo scritto e l’orale” per puntare decisamente sulla scuola digitale: “il coding, la programmazione informatica, è possibile insegnarla addirittura nelle scuole primarie”, e sulle soft e character skills: “Oggi come oggi non è tanto importante quello che si sa, quanto invece la capacità di adattamento, il saper affrontare e risolvere i problemi, la familiarità con la modernità, la scienza, la tecnologia, che già pervade ogni ambito della vita e del lavoro di ciascuno di noi e che lo farà sempre di più. A questo deve servire la scuola”.

Da segnalare comunque l’iniziativa del Ministero che ha programmato  un ciclo di incontri online dedicati al presente e al futuro del mondo dell’Istruzione, al via da questa settimana (venerdì 18 e sabato 19 dicembre i primi due appuntamenti dedicati al tema ‘Pedagogia, didattica, educazione: fotografia di un Paese’). Il ciclo, che sarà aperto da un messaggio del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è intitolato ‘Ripensare l’educazione nel XXI secolo: incontri per riflettere, proporre, agire’. Gli eventi potranno essere seguiti tutti in diretta streaming sul sito e sui canali social del Ministero dell’Istruzione.