Alunni stranieri, quando immigrazione fa davvero rima con tradizione

di Maddalena Musso

– Adriana, c’è l’intervallo, perché non giochi?
– Maestra, ho le scarpe nuove e la mamma non vuole che le sporchi

Ed io mi chiedo se riuscirò mai ad insegnare a mio figlio, prima che abbia l’età di Adriana, il rispetto rigoroso per le indicazioni della mamma ed anche per le cose.

– Asma, cosa ne pensa la mamma di quello che abbiamo deciso?
– La mamma ha detto che quello che decidono le maestre va bene.

Ed io penso ad ogni volta che nel mio cuore ho attribuito alle maestre di mio figlio una cattiva volontà e mi riprometto di non dar mai più seguito a questi moti indispettiti dell’anima e di mantenere sempre una forte fiducia nei loro confronti.

– Grazie, maestre, grazie, grazie,

Dice ripetutamente la mamma di Farah alla fine di ogni colloquio mettendoci inevitabilmente in imbarazzo, perché siamo noi docenti che dobbiamo ringraziare lei per la gratitudine che ci riconosce mentre sentiamo, contemporaneamente, forte il peso della responsabilità delle alte aspettative nei confronti della scuola, come luogo di riscatto sociale, che questa gentile mamma ripone nel percorso scolastico della figlia.

Ed io penso a quante volte non ho detto grazie alle maestre di mio figlio, anche solo per esserci, anche solo per il semplice fatto di prendersi cura di lui con tutta la loro anima e la loro buona volontà.

– Ma mia figlia a scuola è educata? Perché sa, maestra, il rispetto prima di tutto. Voglio che mia figlia ascolti sempre la maestra.

Chiede il papà di Aleksandra.

– Adesso parlo io a Dragan, perché lui mi ascolta e gli dico che non deve fare più arrabbiare la maestra perché non va bene e deve sempre fare i compiti perché i compiti vanno fatti.

Dice il papà di Dragan.

– Sa, signora, stiamo organizzando la festa di Natale, ma la vorremmo rassicurare sul fatto che parleremo di valori universali, non la caratterizzeremo in modo religioso, però sa, la parola Natale circolerà e vorremmo trovare con lei il modo giusto per far partecipare alla festa anche Rachid.
– Ma no, maestre, non vi preoccupate, lui si deve abituare a stare con gli altri e a fare le cose insieme agli altri. Poi noi in casa gli parliamo del Natale.

Dice la mamma di Rachid, sollevandoci tempestivamente dal rischio di uno squilibrio tra necessità di salvaguardare le tradizioni, necessità di rispettare tutti punti di vista e necessità di una didattica inclusiva che permetta la partecipazione di tutti i punti di vista.

Per non parlare dei mazzi di fiori da giardino che ci arrivavano dalla mamma di Alina, una bambina di origine rom, dopo ogni sua promozione: un’esplosione di colori caldi e gioiosi che meglio di ogni parola rappresentava la sua gratitudine nei nostri confronti.

Se non fosse per i nomi di origine straniera (principalmente rumeni, albanesi, macedoni e marocchini), sembrerebbero stralci di conversazione tratti dai colloqui tra insegnanti e genitori del passato, quando il rispetto reverenziale nei confronti dell’insegnante era all’ordine del giorno.

In un contesto globale, ed anche locale, dove le tensioni umane di ogni tipo raggiungono livelli di intensità che spesso portano alla violenza, da quella estrema della guerra, a quella a noi più vicina dell’aggressione, anche solo verbale, al docente, vivere in prima persona questi dialoghi e questi colloqui è commovente e fa pensare che si stia vivendo in una realtà che si potrebbe definire un “Piccolo mondo antico” dove, però, i protagonisti, accanto alle maestre, sono i moderni immigrati. Ecco, in questo incontro tra valori a noi cari perché rappresentano le radici della nostra società e a cui spesso ci appelliamo invocando un ritorno al passato, quei valori a cui le nostre nonne e i nostri nonni si sono ispirati per costruire l’Italia del dopoguerra, quei valori che la nostra Carta Costituzionale illustra sapientemente, e immigrazione, quale scenario che delineerà il nostro futuro anche locale, sta la meraviglia delle testimonianze riportate.

Nella nostra piccola realtà, nel nostro piccolo mondo di antiche modernità, l’immigrazione fa rima con tradizione e le famiglie immigrate, con il loro rispetto nei confronti della scuola e dei docenti, con la loro fiducia nel sistema scolastico per il riscatto sociale dei loro figli, con le loro lacrime agli occhi durante i colloqui quando vengono illustrate le potenzialità dei loro tesori più cari, sono la testimonianza viva di un futuro in cui, in modo ossimorico, l’incontro con l’altro porterà alla riscoperta e al consolidamento delle nostre radici.

Come la natura insegna, però, ogni rosa porta con sé le sue spine e la mia spina più intensa si chiama Ivan, un bambino bulgaro che il padre ha ripetutamente rispedito in Bulgaria a seguito di alcuni fatti negativi occorsi a scuola, ma per non soffrirne troppo, cerco di tenere sempre presenti le parole del nostro Dirigente Scolastico che afferma che non possiamo, per quanto animati da buona volontà e pur offrendo tutta la nostra disponibilità e il nostro aiuto, non comunicare ai genitori i fatti accaduti e sostituirci alla loro responsabilità genitoriale.

Concludo confidandovi che ogni sera guardo le scarpe di mio figlio e mi chiedo se riuscirò ad insegnargli il rispetto per le cose, così come quello per le persone, il rispetto sostanziale, non solo formale, quello che la Costituzione narra in modo così poetico nell’articolo 3 che non manco ad ogni ciclo di far studiare a memoria ai ragazzi di classe quinta primaria.

Intanto la migliore amica di mio figlio si chiama Amina ed io ne sono contenta.

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