Invalsi/3. Il capro espiatorio della DaD che rischia di non far vedere gli altri problemi

Prima della pandemia andava tutto bene nella scuola in presenza?

Senza dubbio l’attività in presenza consente di meglio raggiungere gli obiettivi formativi previsti nelle varie fasi – dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado – i quali non consistono soltanto nell’apprendimento di nozioni ma nella maturazione globale della personalità da realizzare tramite l’acquisizione e lo sviluppo di conoscenze, abilità e competenze in relazione con gli altri.

Tuttavia, l’attività di insegnamento-apprendimento, anche in presenza, non avviene in un ambiente asettico ma è influenzata da vari fattori: essenzialmente il contesto, i docenti, il territorio e finanche i discenti.

Per quanto concerne il contesto occorre segnalare che da tempo alcuni elementi ne mettono a dura prova la qualità. Ad esempio: le classi numerose (con 30 o più alunni, non di rado con fragilità); il personale che facilmente (e di frequente) può cambiare la sede di servizio, addirittura ad anno scolastico appena iniziato (se non in corso d’anno); la mancanza di docenti per alcune materie (si pensi alle cosiddette discipline STEM); gli organici assegnati, spesso insufficienti per fronteggiare le esigenze di offerta formativa delle scuole e del territorio.

Con riguardo ai docenti si può ricordare che la formazione, sia iniziale che in itinere, richiede attenzione e interventi stabili nel tempo, con piani di aggiornamento e formazione che abbiano obiettivi non solo di breve periodo ma anche di medio e lungo termine al fine di sostenere le necessarie innovazioni in atto e fornire risposte appropriate ai tempi odierni; il che non sempre si è registrato, considerata anche l’alternanza di volontà e impostazioni a livello nazionale. Ma soprattutto la debole inclinazione all’autoaggiornamento da parte di larga parte degli insegnanti: soltanto il 3,6% dei 500 euro messi a disposizione annualmente con la carta del docente (un investimento di circa 350 milioni di euro all’anno) è stato utilizzato per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali (fonte Il Sole24ore su dati del Ministero dell’istruzione).

In relazione al territorio si può osservare come la mancanza di autonomia effettiva delle istituzioni scolastiche, dotate di fondi non adeguati e gravate da vincoli burocratici e amministrativi vari, costringe a ridurre le prospettive di orizzonti che mirino a realizzare patti di sviluppo ampi a favore dei giovani di tutte le età, visti anche gli scarsi investimenti che nella scuola (a esempio nel miglioramento delle sue strutture e nella concretizzazione di ambienti di apprendimento innovativi) il territorio stesso riesce a esprimere.

Da ultimo (ma non per ultimi): i discenti. Pare ci si sia dimenticati del fatto che la formazione e la maturazione globale delle persone avvengono anche dietro una spinta interiore e personale. Sarebbe impensabile immaginare gli alunni come dei vasi da riempire, tramite azioni che vengono mosse soltanto dal resto (ossia da ciò che sta loro intorno). Come scrive R. Franchini, “Quando i giovani sono costretti ad imparare contenuti per i quali non provano alcun interesse, diventano inevitabilmente annoiati e stanchi. Per essi, la modalità a distanza, con il conseguente allentamento della dinamica del controllo, può aver rappresentato una buona via di fuga, che tuttavia non genera qualcosa di inedito, ma amplifica in modo sottile e invisibile dinamiche già presenti nel normale contesto educativo”. La motivazione, l’interesse ad apprendere, la curiosità, la volontà, l’autonomia, la capacità di relazionarsi (con compagni e adulti) sono fattori imprescindibili per il successo formativo. Senza dubbio spetta agli insegnanti fare tutto il possibile per suscitarli, per farne tra l’altro la giusta leva e chiave di volta. Ma gli studenti medesimi, la famiglia, il mondo adulto in generale, l’ambiente in cui siamo immersi, i media, i decisori politici, tutti e tutto, dovrebbero consapevolmente operare per sviluppare quelle sinergie atte a sostenere il futuro del Paese: che passa inevitabilmente attraverso la formazione delle persone, in tutte le fasi della vita.

Pertanto, sembra riduttivo e ingiusto attribuire alle sole didattica a distanza e didattica digitale integrata la responsabilità del fallimento emerso dal quadro globale degli esiti dalle prove nazionali INVALSI di recente effettuazione. Sarebbe come attribuire alla scuola – che ha comunque operato con dedizione (e per lo più senza risorse adeguate) – la colpa di tutti i mali. E così proprio non è.