Docenti precari/3. La carica dei 240 mila, tanti come la città di Verona

Quei previsti 240mila e più docenti con contratto a tempo determinato per questo anno scolastico, assunti all’inizio delle lezioni per lavorare senza interruzioni per tutto l’anno scolastico, nel loro insieme sono pressoché l’equivalente dell’intera popolazione della città di Verona.

Proviamo a immaginare cosa potrebbe succedere in quella città se fosse costituita soltanto da docenti precari.

All’inizio di ogni settimana la grande città si spopola completamente, si svuota, senza persone per le strade: mentre una parte è andata via già da mesi e ritorna soltanto nei periodi di vacanza, tutti gli altri partono al mattino presto per il lavoro lontano (quasi mai il docente precario ha il lavoro sotto casa); il lavoro lontano da casa, una caratteristica non catalogata del docente precario, è proprio il pendolarismo che costa in termini sia di spese vive sia in tempi aggiuntivi di viaggio trascorso lontano dalla famiglia (e anche dalla scuola).

Lo stipendio è quello poco esaltante dell’intera categoria, ma, a differenza di quello dei colleghi di ruolo, è sempre fermo all’iniziale, senza sviluppo di carriera anche per chi ha sul groppone molti anni di servizio. E’ così che lo Stato ci guadagna, o per meglio dire risparmia. Insieme al risparmio di due mensilità sui 157.461 posti coperti l’anno scorso da docenti con contratto fino al 30 giugno.

Tra loro ci sono 55.300 docenti non più giovani: hanno tra i 45 e i 54 anni e sono il 23% di quella popolazione che ogni mattino parte per il lavoro più o meno lontano.

In buona parte sono i cosiddetti “precari storici” che hanno alle spalle anni di esperienze di supplenza in tante scuole, dove ogni anno hanno incontrato nuovi alunni e nuovi colleghi, salutati a giugno per ricominciare l’anno successivo spesso altrove con nuovi incontri, con nuovi alunni e altri colleghi: ripetuti azzeramenti di esperienze e di relazioni umane che hanno finito in molti di loro per spegnere gli entusiasmi iniziali e le motivazioni. Dovrebbero concorrere, in teoria e secondo le (giuste) aspirazioni prevalenti, con i loro colleghi a una didattica personalizzata: ma come fanno, se solo per conoscere i propri studenti occorrono mesi, e poi a fine anno il contratto scade e nella maggior parte dei casi si cambia scuola?

Migliaia di quei precari storici portano dentro anche la frustrazione di prove concorsuali affrontate con sacrifici ma senza il successo sperato (in non pochi casi per limiti delle procedure concorsuali), sperando ancora nell’ennesima promessa di reclutamenti straordinari riservati.

Poi ci sono altri 17.600 docenti di età superiore ai 54 anni (sono quasi l’8%) che continuano a lavorare, ormai rassegnati a concludere la lunga carriera scolastica quasi certamente come precari.

Dopo mesi di questa vita da precario, a luglio la città si ripopola, torna la vita, tornano le vacanze e l’atteso riposo, in attesa di un nuovo anno scolastico che, ancora una volta, sarà carico di incognite e di speranze, ma privo di sogni.

A settembre ricomincia il balletto delle graduatorie, delle chiamate, dei nuovi conferimenti di supplenze: un nuovo già vissuto negli uffici scolastici della città che per alcune settimane rivive il frenetico movimento di migliaia di docenti pronti a ricominciare.

Nuove sedi, nuovi alunni, nuovi colleghi.

L’esercito della precarietà scolastica si rimette in marcia e la città ritorna deserta.

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