Docenti precari/2. I peones della scuola

Precario per l’Enciclopedia Treccani significa “instabile, passeggero, provvisorio, temporaneo, transitorio”; nel mondo del lavoro è formalmente identificato nel lavoratore con contratto a tempo determinato, un’occupazione che ha come unica certezza quella di andare a conclusione, ma non quella di continuare.

Docenti precari: sono i peones della scuola. Ingiusto.

L’anno scorso il Portale dati del Ministero ne ha contati ben 225mila, un numero enorme, destinato comunque a salire nel nuovo conteggio di questo anno scolastico in corso, toccando quota 240mila e più, grazie a nuovi arrivi stimabili in almeno diecimila unità, e anche per l’ingresso dei nuovi docenti di educazione motoria dal settembre scorso immessi nella scuola primaria.

Oltre alla categoria che li comprende (contratto a tempo determinato), quei 225 mila precari sono individuati secondo le tipologie del posto di lavoro occupato (91mila su posto comune e 134mila su sostegno), sono computati in base alla durata del rapporto di lavoro a termine (67,5mila annuale e 157,5mila fino al termine delle attività didattiche, 30 giugno), sono suddivisi secondo il settore scolastico di appartenenza (17,5mila di scuola dell’infanzia, 65mila di scuola primaria, 59,5mila della secondaria di I grado e 83mila di quella di secondo grado) e sono anche individuati per genere (78% sono donne), fascia di età, provincia e regione di inserimento.    

Hanno insomma l’onore (si fa per dire) di una dettagliata catalogazione, mentre altro mezzo milione di loro colleghi meno fortunati sono invece soltanto compresi genericamente nelle GPS (non si tratta di un acronimo che identifica smartphone di ultima generazione o altro congegno elettronico, bensì di Graduatorie Provinciali per le supplenze) o iscritti nelle Graduatorie d’istituto, in forza delle quali devono accontentarsi di raccogliere unicamente le briciole del lavoro scolastico attraverso le supplenze temporanee, spesso della durata di pochi giorni.

Contrattualizzati per un anno o per meno, tutti sono condannati a un lavoro precario.

Ciò che è stabile è la domanda del loro lavoro, ovvero il datore di lavoro Stato ne ha complessivamente bisogno con continuità per garantire il servizio (almeno per quanto riguarda quelli con contratto annuale e larga parte di quelli con contratto fino al termine delle attività), ma preferisce “lucrare” un po’ di risparmi (ci sarebbero gli estremi per parlare di speculazione di Stato…), dimenticando gli effetti sulla qualità del servizio. Un sistema che rende la vita difficile a centinaia di migliaia di persone e che impatta negativamente sugli studenti.

L’interrogativo che accompagna la fotografia di questo grande squarcio della nostra scuola potrebbe essere: quanto incide la precarietà del personale docente sulla qualità dell’offerta formativa?

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