Didattica in presenza (se possibile) e a distanza (se serve). Insensato contrapporle

Non c’è dubbio che vada ricercata ogni possibile soluzione tecnica e organizzativa in grado di riportare al più presto tutti gli studenti fisicamente a scuola. Per ragioni sia di ordine didattico-relazionale, sia di ordine sociale. E molto si può fare, o almeno tentare, anche con coraggio (ma non certo con imprudenza).

Al contempo non si può neanche far finta di ignorare che la lotta contro il virus è ben lontana dall’essere vinta e che la tutela della salute viene prima di tutto, essendo una precondizione assoluta. Ci si potrà muovere solo all’interno dei limiti consentiti dalla non diffusione del virus. Limiti oggettivi e difficilmente controllabili, anche per l’insufficiente conoscenza attuale delle caratteristiche di questo nemico oscuro e per l’indisponibilità di armi di contrasto efficaci. Un virus che statisticamente colpisce di più e più gravemente al salire dell’età. E tra il personale scolastico questa è una variabile delicata: il 39% di tutto il personale scolastico statale è over 55 (425 mila su circa un milione e 100 mila lavoratori). Un documento dell’Inail, preparato dagli esperti in vista della riapertura delle attività lavorative, sottolinea che “potrebbe essere introdotta la ‘sorveglianza sanitaria eccezionale’ che verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni”. Cosa vorrebbe dire nella scuola? Non si può non tenere nel debito conto anche questi aspetti.  

Né si possono dimenticare altri limiti, anche economici per un Paese spinto da questa imprevedibile emergenza sull’orlo di una crisi finanziaria. L’incremento di personale docente e ancor più non docente che sarebbe necessario per organizzare gruppi classe più piccoli, per gestire il distaccamento (termoscanner all’ingresso, dispositivi di protezione individuali come mascherine e guanti, etc) e la sanificazione negli edifici scolastici, i costi per usufruire di spazi extra-scolastici, per il trasporto e così via: quanto costerebbe tutto ciò? Un aumento di spesa va assolutamente previsto (peraltro dopo lustri di tagli della spesa per l’istruzione), ma non esistono pozzi senza fondo, inutile prenderci in giro.

Piaccia o non piaccia, per questi motivi non si può scartare, fino a quando servirà, la soluzione della didattica a distanza – anche con i limiti e le controindicazioni che come in tutte le cose esistono. In due mesi abbondanti di chiusura forzata delle scuole ha consentito di colmare (purtroppo non per tutti, e questo è un altro compito fondamentale per il Governo) gran parte di quelle 122 milioni di ore di lezione in presenza che sarebbero andate perdute (http://www.tuttoscuola.com/fino-al-30-aprile-perse-122-milioni-di-ore-di-lezione-in-presenza-se-non-ci-fosse-la-dad/ ). Un danno incalcolabile per il diritto allo studio degli alunni e per la società, al quale si è posto in buona parte rimedio grazie alla tecnologia, alla buona volontà e alla resilienza espresse dalle scuole e da tantissimi docenti, oltre che all’impegno e talvolta ai sacrifici di tante famiglie.

La DAD (soprattutto quella in sincrono, nella quale si realizza la relazione diretta, anche se non fisica, ma via video e audio, tra insegnante e studenti) è una soluzione complementare rispetto alla didattica in presenza, sia per intervenire dove quest’ultima non sarà possibile, sia per integrarla e rafforzarne gli effetti. Non si può fare in qualsiasi modo: vanno assicurate precise condizioni di fattibilità (approfondite in questo articolo). Anch’essa richiede peraltro – come scrivevamo la settimana scorsa – interventi strutturali nel breve, medio e lungo termine: devices per tutti gli studenti, banda larga per tutte le scuole e – elemento indispensabile e strategico – formazione massiva dei docenti per la didattica digitale e più in generale per le metodologie didattiche innovative. Interventi sui quali ha finora sostanzialmente fallito il Piano Nazionale Scuola Digitale, che non ha impedito che la scuola italiana si trovasse in condizioni assolutamente disomogenee (e mediamente insufficienti) dal punto di vista della digitalizzazione.

Insomma, la contrapposizione tra didattica in presenza e a distanza ha poco senso e può causare polemiche in questa fase sterili. Il fronte cruciale sul quale andrebbe spostato il dibattito sulla scuola a settembre ma anche per il futuro è un altro: introdurre metodologie didattiche innovative, in grado di stimolare l’apprendimento degli studenti centennials, legato ad un sapere sempre più dinamico, e di svilupparne le soft skills. Indipendentemente dalle forme di erogazione.

Questo serve, sia per le lezioni in presenza sia per quelle a distanza, altrimenti saranno sempre più inadeguate entrambe. Su ciò si gioca il futuro della scuola come agenzia educativa primaria.