Dopo il virus: alla ricerca di una educazione post-scolastica

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Nelle ultime settimane la progressiva estensione delle esperienze di didattica a distanza (DaD) è stata accompagnata da un ampio e ramificato dibattito sui social media al quale partecipano alcuni esperti di tecnologie educative che da tempo si battono per una maggiore apertura della didattica alla dimensione digitale. Tra questi Carlo Giovannella, docente di tecnologie didattiche dell’università di Roma Tor Vergata, che in articolo che compare su agendadigitale.eu parla di uno “stress test senza precedenti” per la scuola, “di un’intensità non paragonabile neppure a dieci PNSD messi insieme”, e si chiede se si riuscirà a “farne tesoro”.

L’esperto lamenta il fatto che a seguito del “sostanziale fallimento degli investimenti europei profusi negli ultimi quindici anni per lo sviluppo del ‘technology enhanced learning’ (non si è mai riuscita a creare un’infrastruttura tecnologica e culturale europea a servizio degli ecosistemi di apprendimento)”, si sia finiti “nelle braccia di Google Classroom, nonostante non sia un ambiente pensato per la didattica ma per il lavoro collaborativo, nonostante non preveda interoperabilità, nonostante i dati risiedano nelle mani di Google, nonostante non offra analytics, etc.”.

Tuttavia la scossa è stata forte e Giovannella auspica, pur esprimendo dubbi sulla sensibilità dei decisori politici in materia, che si riesca almeno a “stabilizzare l’incremento del livello di maturità digitale che lentamente sta emergendo all’interno degli ecosistemi di apprendimento”.

Meno dubbi ha invece Roberto Maragliano, docente di Tecnologie dell’Istruzione e dell’Apprendimento presso l’Università Roma Tre, tra i più noti e autorevoli studiosi italiani di e-learning, da decenni profeta finora disarmato del ripensamento dell’intero processo educativo in chiave digitale, che in una serie di conversazioni trasmesse online spiega che i tempi, anche alla luce di quanto sta avvenendo nel campo della didattica a distanza, sono ormai maturi per una scuola che non sia più trasmissione frontale, lezioni ripetitive, voti, ma piuttosto co-costruzione collaborativa, condivisione, abbandono della logica lineare dei manuali e dei tradizionali testi scritti in favore di un approccio multimediale e interdisciplinare, con il superamento della classica ripartizione in materie, ore, classi, per dar luogo a percorsi individuali e di gruppo molteplici, plurali, aperti e soprattutto tali che gli studenti imparino a imparare.

Una prospettiva alla quale sembra guardare, almeno per quanto riguarda la personalizzazione della didattica e l’abbandono del modello prussiano-napoleonico (si veda la notizia precedente) anche Giuseppe Bertagna, docente di Pedagogia all’università di Bergamo, già consulente, a volte poco ascoltato, dell’ex ministro Letizia Moratti, che in un documento scritto per il progetto ‘Ricostruire’ promosso da Stefano Parisi auspica che si possa “finalmente rompere il marchingegno buro-amministrativo-sindacale-organizzativo delle ‘classi’ e delle ‘sezioni’”, per passare ad un’organizzazione della scuola nella quale ogni docente sia “tutor personale di un gruppo contenuto di studenti” (ne propone 9) “per accompagnarli e orientarli in maniera personalizzata nel percorso formativo in presenza e soprattutto a distanza” e che sia “con i colleghi, attraverso gli organi progettuali di istituto, titolare di insegnamenti e attività in presenza basati didatticamente su flessibili gruppi di livello, di compito, di progetto, oltre che elettivi, non necessariamente coincidenti con gli studenti di cui è tutor”.

Ma Bertagna, come Giovannella, è meno fiducioso di Maragliano nelle “magnifiche sorti e progressive” (parole invero di Leopardi, non di Maragliano) della scuola digitale perché scrive anche che “Per la verità, è già in atto il tentativo della buropedagogia ministeriale e sindacale per far adattare le misure di distanziamento richieste dal Covid-19 alla tradizionale organizzazione della scuola”. Vedremo. Ma sarà difficile non tener conto degli effetti, dei rischi ma anche delle opportunità, del megatrend tecnologico in corso, che il Covid-19 non ha fatto che accelerare.